Nei mesi scorsi è stato pubblicato, nella collana “Racconti Zeta”, per i tipi della Di Felice Edizioni, il volume “L’incendio di Roccabruna”, di Angelo Gaccione (nella foto). Il testo consta di quindici capitoli, legati fra loro dal filo conduttore della storia reale di un paese fittizio, nomato Roccabruna. Il tutto si sostanzia e si snoda in 112 pagine con prefazione e postfazione, rispettivamente di due mostri sacri della saggistica letteraria contemporanea, Vincenzo Consolo e Giuseppe Bonura. Quanto al portato contenutistico dell’opera, esso s’impernia su fatti e misfatti verificatisi, nei secoli scorsi, in un paese calabrese, come già detto Roccabruna, in rappresentanza, tuttavia (per la loro particolare configurazione e presenza ubiquitaria), anche di tutta la Calabria, e del Sud in generale. I fatti riguardano miseria e ignoranza della gente, emigrazione e brigantaggio. I misfatti, invece, orrorosi abusi e soprusi a danno dei più deboli, e che neanche il rigore della legge riusciva a prevenire o a tenere a freno. Il tutto si consuma, infatti, in orripilanti e raccapriccianti fatti di sangue e ingiustizie sociali che l’autore ha saputo rendere superlativamente rabbrividenti e toccanti col suo tipico idioletto teatrale, che non ha mai affondi esegeticamente criptici, né mai ascese auliche, pur se a volte alcune pagine ostentano, ma di proposito, un certo gergo prettamente, ma divertentemente e sapientemente, latineggiante. Quindi, un modus scribendi, il suo, con una connotazione stilistica, in quanto a comprensione e comunicazione, alla portata di tutti, ma soprattutto della sensibilità di tutti. È un testo molto accattivante e attanagliante, al punto che il primo rigo d’ogni capitolo conduce (in preda sempre a ineffabili brividi) all’ultimo, d’un sol fiato, e fa dell’autore un degno erede dei vari Seminara, Strati, Alvaro, Rèpaci, De Angelis, La Cava. Un testo che, dunque, sta già riscuotendo un grande successo. Anche perché, nella sua trama, alla sopraffazione dei forti, segue il sempre tanto atteso e soddisfacente riscatto degli oppressi, dei derelitti e dei vilipesi. Angelo Gaccione, infaticabile uomo di lettere sin da giovanissimo, non è assolutamente nuovo al genere “racconto”, dacché egli vi si cimenta, ormai, da oltre un trentennio, difendendone, e sorreggendone, anima e corpo, il filone nelle sue “tematiche” e “dorsali” mediatico-editoriali, fino ad esserne diventato, uno degli esponenti di spicco (se non l’unico), non solo a livello regionale (ossia della sua Calabria), ma addirittura nazionale. Ciò è testimoniato dal fatto che quasi nessuno più pratica questo genere letterario alla sua stessa stregua, ai suoi stessi livelli, e come ai tempi in cui fu in auge. A lui, quindi, il merito di avergli reso onore e averlo strappato, con sceltezza di stile e corposità di contenuti, alla marginalizzazione a cui, altrimenti, sarebbe stato sicuramente condannato. E ciò lo ha ampiamente ottenuto avendo egli, nei decenni, pubblicato tantissimi e apprezzatissimi volumi settoriali riscuotendo, empaticamente, di volta in volta, l’ovazione delle platee teatrali, per le quali, essi volumi, sono stati resi oggetto di rappresentazione. Decine, inoltre, i testi di prosa, poesia, arte, saggistica e aforismi, licenziati alle stampe: il tutto contornato e supportato da una intensa, importante e proficua attività giornalistica, a caparbia difesa e sostegno sempre della pace, dell’ambiente, dei Beni culturali e della giustizia nel mondo. Onore, dunque, all’autore Angelo Gaccione, figlio della diaspora calabrese, che, da decenni, vive all’ombra della Madonnina, ove dirige, da sedici anni, la rivista di letteratura, arte e politica, “Odissea” (onorata dalla collaborazione di alcune tra le più prestigiose penne nazionali e internazionali), e che è, pertanto, attualmente, uno dei più attivi e impegnati produttori e divulgatori di cultura italiana nel mondo.
Nicolino Longo