«Era un uomo di scienza che però, nel suo intimo, amava seguire le curve insoddisfatte del pensiero, i dubbi e i tormenti dell’essere». Il professore Luigi La Rosa, introducendo la poetica di Pietro Santacroce, lo ha presentato così al pubblico del Festival d’Autunno che ha affollato la sala delle esposizioni permanenti del Museo Marca di Catanzaro. Un appuntamento inserito tra gli eventi culturali della rassegna diretta da Antonietta Santacroce, quest’anno dedicata all’irrinunciabile forza della parola.
«Considerato questo tema – ha spiegato in apertura il direttore artistico – non potevamo che inserire in cartellone un evento dedicato alla poesia. E lo abbiamo fatto con un omaggio a mio padre, Pietro Santacroce, che molti hanno conosciuto come medico e meno come poeta. Un medico che è stato esempio di umanità e abnegazione e che ha incarnato profondamente la vera essenza della professione: stare vicino a chi soffre. Ma nello stesso tempo è stato un uomo dalla profonda sensibilità umana e culturale. Un poeta vero – ha proseguito – capace di scavare dentro l’essere, nelle rughe dell’anima, alla ricerca delle sconvolgenti ragioni della vita, dell’uomo innanzitutto e della natura con cui ci si trovava quotidianamente a misurarsi. Diceva che “muore solo chi non lascia eredità di affetti”, chi non lascia ricordi. Ebbene – ha concluso- lui ne ha lasciati diffusamente e l’omaggio di questa sera alle sue poesie va in questa direzione».
«La parola – ha spiegato Luigi La Rosa introducendo la serata – è una delle cifre interpretative della sua poesia. Nelle liriche di Santacroce la parola diventa canto e il canto amore. Perché la poesia non serve a chi la scrive ma a chi la ascolta». E in un’atmosfera intrisa di commozione e coinvolgimento emotivo per la presenza di tanti famigliari e amici del medico-poeta, la magistrale lettura dei versi affidata ai due attori del Teatro di Calabria, Maria Rita Albanese e Salvatore Venuto, ha messo in evidenza la sorprendente cifra stilistica e contenutistica dei componimenti di “Pierino”, come affettuosamente lo chiamavano gli amici, raccolti in “Nel silenzio”, del 1988; “Ma rimane il canto” (che ha dato il titolo alla serata) del 1990 e “Partirò per restare”, pubblicata postuma da Rubbettino proprio in occasione dei 10 anni della sua scomparsa.
«La scelta antologica delle poesie che abbiamo deciso di proporre in questa occasione – ha proseguito il critico – dimostrano una vena facile nello scrivere da parte del poeta. Ma attenzione, non si tratta di semplicismo o dilettantismo: la sua poesia è scaltrita, abbonda di figure retoriche, chiasmi, ossimori che danno il senso di quanto lui fosse un grande lettore di poesie».
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