Un piano strategico diretto al controllo della cosa pubblica e all’accaparramento di ingenti profitti “per far sì che la Multiservizi divenisse uno strumento funzionale al soddisfacimento degli interessi economici della ‘ndrangheta e di alcune famiglie di imprenditori ad essa legate”. E’ quanto si legge nell’ordinanza che ha portato agli arresti domiciliari otto imprenditori di Reggio Calabria accusati di bancarotta fraudolenta in relazione al fallimento della società Multiservizi partecipata dal Comune di Reggio Calabria. Un accordo che secondo l’accusa faceva sì che il denaro versato dal Comune alla Multiservizi per la manutenzione della rete stradale, della rete idrica, dell’illuminazione, delle scuole e dei parchi finisse nelle tasche delle cosche. Ai domiciliari sono finiti gli imprenditori Pietro Cozzupoli, di 81 anni, Lauro Mamone (62), Giuseppe Rocco Giovanni detto “Pino” Rechichi (61), Antonino Rechichi (34), Giovanni Rechichi (34), Rosario Giovanni Rechichi (58), Michelangelo Maria Tibaldi (52) e Michele Tibaldi (32), tutti accusati di bancarotta fraudolenta. Dalle indagini, condotte dal Gruppo investigazione criminalità organizzata (Gico) del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza nell’ambito dell’operazione denominata “Mala Gestio”, sarebbe emerso che le vicende fallimentari che hanno colpito la Multiservizi e la Gst erano da ricondursi ad un ingegnoso meccanismo fraudolento messo a punto da chi ricopriva contemporaneamente cariche sociali nelle due imprese e in altre ditte a favore delle quali venivano distratte le risorse economiche. La Multiservizi era stata costituita nel 2004 tra il Comune, socio pubblico al 51%, e la Gst, socio privato al 49%. Lo stesso giorno, con la sottoscrizione di un patto parasociale, definito “incomprensibile” dagli investigatori, il sindaco dell’epoca Giuseppe Scopelliti, “di fatto – afferma la Finanza – abdicava dal controllo della partecipata, assegnando in via esclusiva tutti i poteri di gestione al socio privato di minoranza Gst”.
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