Il mondo dell’economia condizionato dalle più potenti cosche di ‘ndrangheta, grazie ad un connubio tra imprese e malavita. L’operazione “Coccodrillo”, portata a termine oggi dal Comando provinciale della Guardia di finanza di Catanzaro con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri, ha permesso di individuare questi rapporti. Dieci le ordinanze cautelari emesse, con il sequestro preventivo di beni per un valore complessivo di oltre 50 milioni di euro.
Al centro dell’inchiesta il gruppo imprenditoriale che fa capo ad Antonio Lobello, 72 anni, e ai figli Daniele, 47, e Giuseppe, 51, ma con loro sono rimasti coinvolti prestanomi e professionisti. In carcere è finito Giuseppe Lobello, mentre gli arresti domiciliari sono stati disposti nei confronti di: Antonio Lobello, Daniele Lobello, Francesco Iiritano, Domenico Rotella, Anna Rita Vigliarolo, Vincenzo Pasquino. L’interdizione del divieto temporaneo all’esercizio della professione di ragionieri e commercialisti è stata notificata a Pasquale Torchia, Pasquale Vespertini e Vitaliano Maria Fulciniti, accusati di favoreggiamento. Agli indagati sono contestati, a vario titolo, i reati di concorso esterno in associazione mafiosa per Giuseppe Lobello, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, autoriciclaggio, favoreggiamento reale ed estorsione. L’indagine è stata condotta dai finanzieri del Nucleo di polizia economico finanziaria Gico della Guardia di finanza di Catanzaro, riscontrando come i Lobello avrebbero portato avanti diversi reati di intestazione fittizia di beni, realizzati attraverso un sistema di società, formalmente intestate a terzi, e tuttavia dagli stessi controllate e gestite, e ciò al fine di sottrarre il proprio patrimonio aziendale all’adozione di prevedibili misure di prevenzione antimafia.
Per tentare di sfuggire al sequestro di beni, ma soprattutto per rimanere nelle condizioni di partecipare agli appalti pubblici, i Lobello avrebbero provato a costituire numerose società, intestate a prestanomi. D’altronde, già in passato il gruppo aveva subito alcune interdittive antimafia emesse dalla Prefettura di Catanzaro per le società Calbin S.r.l., Cantieri Edili Iniziativa 83 S.r.l. e Strade Sud S.r.l. L’operazione ha permesso di ricondurre alle “nuove” imprese con intestazioni fittizie collegate a Strade Sud S.r.l., Trivellazioni Speciali S.r.l., Consorzio Stabile Zeus, Consorzio Stabile Genesi, tutte attive nel comparto dell’edilizia pubblica e privata e aggiudicatarie di numerosi appalti pubblici, oltre alla società Marina Café S.r.l.s. che opera nel settore della ristorazione. Ad avvalorare le tesi investigative anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e diverse intercettazioni che hanno evidenziato, oltre al legame mantenuto nel tempo dalla famiglia Lobello con il clan Mazzagatti di Oppido Mamertina, anche il rapporto con il clan Arena di Isola Capo Rizzuto e altre cosche del Crotonese, tra cui quella riconducibile a Nicolino Grande Aracri. Sarebbe stato Giuseppe Lobello, in particolare, attraverso la cosca Arena di Isola Capo Rizzuto, ad avere svolto la funzione di collettore delle estorsioni imposte presso i cantieri edili del catanzarese. In questo modo, il gruppo Lobello, secondo le accuse, avrebbe ottenuto una posizione dominante nell’esecuzione di lavori edili e forniture di calcestruzzo su Catanzaro e provincia, nonché la protezione da interferenze estorsive di altri gruppi criminali, quale imprenditore “intoccabile”. Per questo, a Giuseppe Lobello è stato anche contestato il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Antonio e Daniele Lobello, padre e figlio, sono invece accusati del trasferimento fraudolento di valori e autoriciclaggio, e la stessa misura cautelare è stata disposta nei confronti di quattro soggetti, tra dipendenti del Gruppo Lobello e intestatari fittizi delle società. I collegamenti con le cosche della ‘ndrangheta avrebbero permesso ai Lobello di ottenere un clima a loro favorevole, con una capacità intimidatrice che sarebbe stata usata anche nei confronti dei dipendenti, come nel caso di un lavoratore dipendente costretto ad auto licenziarsi contro la sua volontà da una società fittiziamente intestata a un prestanome, per incomprensioni sorte sul luogo di lavoro con i familiari di Giuseppe Lobello.