di Carlo Rippa
Il 3 settembre scorso è uscito per Rizzoli un libro di Stefano Feltri, vicedirettore del Fatto Quotidiano, dal titolo decisamente tranciante: “La politica non serve a niente”. A volte il titolo di una pubblicazione non rispecchia fedelmente l’argomento trattato, tendendo piuttosto a solleticare la curiosità dei lettori. Accade così che il lettore del libro in argomento, dopo averne letto il titolo, si trovi subito costretto a riflettere intorno ad una palese contraddizione. Infatti l’autore, già nell’introduzione, scrive testualmente: ”Dalla caduta del muro di Berlino a oggi mai si era avvertito tanto un bisogno di politica, di leadership, nazionale e globale.” Quindi, se si avverte un bisogno irreprimibile di politica, è segno che la politica serve. Ma poco più avanti si legge: “ Ma Il fatto che la politica sia diventata inutile non è detto cha sia una cattiva notizia ”. Dunque, la politica non serve. Domanda: la politica serve o non serve? Sorvolando sul non facile dilemma, ritengo più opportuno rilevare che nel testo in esame è abbastanza agevole individuare il “tema dominante” che il pur giovane cultore di economia si prefigge di divulgare. Egli infatti è convinto di avere individuato nell’innovazione e nella tecnologia la chiave per rendere utile la politica la quale, di conseguenza, non deve occuparsi di difendere le lobby, ma deve utilizzare tutto il suo potere per favorire un mercato libero, nel quale vince chi è più innovativo nel trovare una soluzione ai problemi. Per l’autore di che trattasi, quindi,è sufficiente affidare la scienza e l’arte di governare, non più alla “politica tradizionale”, bensì all’economia o, meglio, alla tecnoscenza. Ma non dovrebbe essere già abbastanza chiaro che i termini “mercato”, “mercatismo”, “domanda e offerta”, “mano invisibile del capitalismo”, “leadership politica” e altre simili facezie linguistiche, evocano il disastro economico e morale che caratterizza l’umana convivenza e evidenziano dappertutto ingiustizie e disuguaglianze? E poi, la crisi che viviamo e che non accenna a attenuarsi, non è soprattutto il risultato sciagurato della tecnologia, che consente fra l’altro lo spostamento di centinaia di miliardi in un decimo di secondo, ingigantendo di conseguenza il potere della finanza a discapito dell’economia reale? A ogni buon conto mi sorge il sospetto di avere fatto cenno a troppi argomenti, importanti e complessi, la cui trattazione richiederebbe molto spazio che ovviamente non ho. D’altra parte ho deciso di scrivere il presente articolo non per recensire l’ultima novità libraria del giornalista Stefano Feltri, ma unicamente al fine di ribadire alcuni miei profondi convincimenti, riportati alla mia memoria dal titolo ad effetto scelto per il predetto libro. Dunque, comincio col dire che, a mio parere, l’affermazione categorica “la politica non serve a niente” è palesemente falsa. E’ risaputo e la cronaca di tutti i giorni lo conferma, che la politica “serve ai politici”. Purtroppo è inevitabile che la politica, come le religioni e le varie filosofie, camminino sulle gambe degli uomini. E qui è l’intoppo! Perché l’uomo, senza alcuna distinzione di sesso, di razza, di lingua e di religione è, per sua natura, impastato di egoismo e di sete di potere. Lo hanno insegnato indimenticabili filosofi e pensatori di tutti i tempi come Tucidide, nato presumibilmente intorno al 460 a.C. e Publio Cornelio Tacito. Ogni uomo, quindi, cerca sempre più di prevalere sugli altri e la politica rappresenta lo strumento ideale e più efficace per estrarre ricchezza dalla posizione di privilegio conquistata e, con la ricchezza, per mantenere e accrescere il potere nella vita degli altri, quasi sempre senza neppure il loro consenso. A mio parere, quindi, i politici sono antropologicamente inidonei a perseguire il “bene comune” che, peraltro, dovrebbe rappresentare il loro unico obiettivo da raggiungere. Ma se è così, una fondamentale domanda nasce spontanea: come e chi dovrebbe risolvere gli innumerevoli problemi che affliggono costantemente la maggior parte degli uomini e, soprattutto, chi dovrebbe contrastare le guerre, le carestie, le calamità naturali e le loro drammatiche conseguenze? Premesso che, a mio parere, quasi tutti i predetti problemi sono causati dall’egoismo e dalla sete di potere di cui la natura ha dotato abbondantemente ogni essere umano, non v’è dubbio che sarà lo stesso egoismo, individuale o collettivo, a indicare la soluzione dei predetti problemi. E quando l’egoismo umano non sarà in grado di farlo, allora sarà inevitabile attendere i miracoli (per i credenti di ogni fede religiosa), oppure affidarsi al caso (per i così detti agnostici). Mi rendo conto di avere dato una risposta per alcuni semplicistica e per altri disperata. Nondimeno gli studi che ho fatto, le riflessioni e le discussioni sviluppate sull’argomento e, soprattutto, le molteplici esperienze di vita vissuta, mi hanno profondamente convinto dell’inesistenza di ogni altra positiva conclusione. D’altronde è sufficiente esaminare con intelligenza almeno i fatti più eclatanti che segnano la vita di ogni giorno, per condividere con me l’idea che l’egoismo è il vero motore della storia degli uomini. Recentemente due potenti personaggi hanno monopolizzato l’attenzione del mondo: Angela Merkel e Papa Francesco. La prima, per avere aperto temporaneamente le frontiere della Germania ai profughi, soprattutto siriani. Il secondo, per avere lanciato un appello alle diocesi italiane: “Ogni parrocchia ospiti una famiglia di profughi”. Su quasi tutti i mass media i due “fatti” sono stati raccontati ripetutamente e aggettivati con parole come straordinari, rivoluzionari, presaghi di numerosi effetti positivi per il futuro. La mia interpretazione dei predetti “fatti” è stata meditata e totalmente diversa. Conoscendo sufficientemente i rispettivi mondi di appartenenza dei predetti personaggi, non ho avuto difficoltà a concludere che, anche in questo caso, i motivi che hanno determinato le decisioni assunte non possono non essere individuati nell’egoismo e nella sete di potere, personali e/o di Stato. Per convincersene è sufficiente utilizzare serenamente la facoltà, propria dell’uomo, di collegare opportunamente idee, concetti, fatti e valide esperienze acquisite. All’unica condizione che si faccia piazza pulita di qualunque pregiudizio.