Negli ultimi tempi, caratterizzati dal susseguirsi di troppi scandali, uno dei temi che più infiamma il dibattito politico è senz’altro quello delle grandi opere. Le discussioni si fossilizzano quasi sempre su posizioni estremiste, come possono esserlo i No Tav che manifestano contro l’alta velocità che collega Torino a Lione e sulle forze politiche che spingono questi progetti rimanendo spesso implicate nelle indagini della magistratura. In questi ultimi giorni, il tema è ritornato più che mai attuale con l’inchiesta sul giacimento di Tempa Rossa, che ha portato alle dimissioni del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, coinvolta nell’inchiesta dal compagno che, come emergerebbe dalle intercettazioni, avrebbe esercitato pressioni per sbloccare proprio questo progetto con un emendamento semplificando l’iter burocratico. Il condizionale è d’obbligo.
Le parole del premier Matteo Renzi, nelle ore successive all’apertura delle indagini da parte dei magistrati di Potenza, richiamano la decisione del governo di procedere con lo “Sblocca Italia” che consiste nel “liberare” tutti i progetti che si sono impantanati nella macchina della burocrazia italiana. In questo decreto è contemplato lo sblocco di molte grandi opere tra cui figurano interventi sulla rete autostradale, ferroviaria, fino ad arrivare all’edilizia scolastica. Negli ultimi tempi molte sono state le inchieste partite dagli appalti relativi a queste opere che non hanno risparmiato nemmeno la Capitale, svelando un sistema corruttivo che va ad inficiare l’effettiva realizzazione di esse, incidendo sul costo finale del progetto facendo lievitare così la spesa pubblica.
Un discorso che potrebbe sembrare parallelo a quello delle grandi opere e dello Sblocca Italia, è quello dell’istruzione e dei fondi dedicati al comparto i quali, secondo l’Ocse, sono tra i più bassi rispetto ai 34 Paesi presi in esame. Basti pensare che nel 2011 solo l’8,6% della spesa pubblica complessiva era destinato all’istruzione rispetto al 12,9% della media Ocse. Fondi che potrebbero essere riallineati alla media Ocse razionalizzando la spesa pubblica, senza rinunciare alle opere strategiche necessarie, andando così a limitare l’esodo degli studenti più validi in Paesi che sostengono in modo più strutturale la ricerca e la formazione: indici di civiltà e sviluppo delle società del XXI secolo. Sintomo palese di questa situazione “patologica” degli investimenti sull’istruzione è stato lo scontro tra la Ministra dell’Istruzione Stefania Giannini e la ricercatrice Roberta D’Alessandro, in occasione dell’assegnazione di 30 borse di studio dell’Unione Europea (su 302) a studenti italiani dei quali, tuttavia, 17 studiano o lavorano all’estero. Andando a sottolineare il malcontento degli allievi, costretti ad abbandonare il Belpaese per avere la possibilità di continuare le proprie ricerche e/o lavorare nel proprio campo di studio; fatto confermato dal Ministero del Welfare britannico il quale dichiara che nel 2013 ben 44mila italiani hanno richiesto il national insurance number, per poter lavorare nel Regno Unito. In pratica, un aumento del 66% rispetto all’anno precedente che fa riflettere su come la “grande opera” fondamentale per lo sviluppo socio economico del nostro Paese sia quella della formazione, del sostegno alla ricerca e all’istruzione che si dovrebbe affiancare ad una delle più grandi opere mai compiute dall’umanità: l’amore per la conoscenza, quel tipo di “Amor che move il sole e l’altre stelle”.
Tommaso Stanizzi