Mi capita di rado di leggere sulla stampa che abitualmente consulto articoli particolarmente interessanti che, di conseguenza, impongono lunghe e approfondite meditazioni. Peraltro sono totalmente convinto che un “buon articolo” deve riuscire a potenziare la capacità di ragionamento del lettore, al punto di scuotere la sua coscienza e consentirgli una migliore comprensione degli avvenimenti che determinano l’eterna tragedia dell’esistenza umana. Sul settimanale l’Espresso n. 46 del 13 novembre 2016, nella sezione Culture, ho letto tre straordinari articoli, coordinati tra loro, di personaggi ben noti nel campo della filosofia, dell’insegnamento universitario e del giornalismo impegnato. Ritengo doveroso parlarne brevemente, anche in considerazione dei “tempi bui” che stiamo attraversando. Pier Aldo Rovatti, con il suo intervento, si sofferma sul difficile tema del “monoteismo della Verità unica”, che riaffiora ad ogni istante in ciascuno di noi, con effetti devastanti nella vita pubblica, nella vita privata e nelle relazioni individuali. Sull’argomento, fra l’altro, scrive testualmente: ”Le violenze scoppiano con sempre maggiore frequenza. Parlo di quelle violenze che scaturiscono dall’intransigenza e da una incapacità di accogliere senza intolleranza chi ci sta vicino o si avvicina a noi. Stiamo diventando ogni giorno più infastiditi e di conseguenza più autoritari nel nome di un’idea di verità chiusa e all’apparenza rassicurante che ciascuno si costruisce per conto proprio, anche in mancanza di un credo o di un dogma: una sorta di monoteismo filosofico pret-a-porter (…). Pensiamo, per esempio, alla diffusione capillare dei comportamenti a carattere razzistico nei confronti di qualunque fenomeno che comporti estraneità o semplicemente stranezza. Questo “dio” velenoso e obnubilante non è affatto morto, anzi sta contaminandoci tutti con un velo di pensiero assolutistico, unico e unificante, che non ha bisogno di numi tutelari e di compatte sistemazioni filosofiche, forse neppure di stampelle religiose (…). Viviamo in una società nella quale si dà ormai per scontato da parte degli osservatori (psicologi, sociologi ecc.) che l’emozione prevale sulla riflessione, il che significa che il comportamento emotivo viene considerato come giusto e opportuno mentre il comportamento riflessivo viene spesso bollato come inopportuno e scarsamente efficace, dunque sbagliato”. Diverse volte, su questo stesso Giornale, ho avuto modo di soffermarmi su analoghi argomenti, convinto come sono che l’uomo, per sua natura, è niente altro che un grumo di egoismo e di inestinguibile sete di potere. Pier Aldo Rovatti sostiene, con estrema chiarezza e con l’autorità del filosofo, che la certezza di possedere tutta la verità, genera inevitabilmente guerre, terrorismo, intolleranza, razzismo e aggressività sociale; tutti mali che caratterizzano negativamente la società nella quale viviamo. Fra gli articoli pubblicati dal settimanale l’Espresso lo scorso 13 novembre, figura inoltre un’intervista realizzata da Stefano Vastano al più grande egittologo vivente Jan Assmann il quale, partendo dallo studio delle religioni antiche degli egizi, dei greci, dei romani e dei persiani, individua il momento cruciale nella storia dell’umanità in cui, con Mosè e il monoteismo ebraico, la religione si trasforma in verità assoluta, generando la furia della violenza religiosa e l’intolleranza contro tutti gli altri, percepiti come “infedeli”. Il famoso egittologo tedesco intende così rilanciare apertamente le ragioni di un nuovo e più tollerante politeismo che, a suo dire, conserva ancora oggi una meravigliosa attualità. Infatti, alla prima domanda di Stefano Vastano sul monoteismo, l’intervistato risponde: “La grammatica del monoteismo ha in sè i germi della violenza contro gli altri perché è una forma di fede che pretende di possedere la verità in modo esclusivo. E’ questa esclusività dell’accesso alla verità il motore che genera di continuo nella storia, come vediamo ancora oggi, focolai di violenza ed eccessi d’ intolleranza”. Poi l’intervista continua e diventa sempre più avvincente, perchè costringe alla riflessione anche sulle ultime stragi dei terroristi islamici, sulle motivazioni profonde che guidano il Kamikaze al sacrificio della propria vita. Fino all’ultima domanda, con la quale Stefano Vastano chiede a Jan Assmann se ritiene che solo il politeismo ci potrà salvare dalla violenza religiosa, ricevendo la seguente risposta:” I persiani, conquistata Atene, sequestrarono le divinità dei greci per esporle nei loro templi a Persepoli. Persino in guerra si rispettavano come opere d’arte le divinità altrui, non si distruggevano le opere d’arte considerate blasfeme. Ecco la lezione di tolleranza che ci viene dal mondo antico. Un mondo che aveva capito come la magia della religione non sia tutto nella vita”. E, per finire, accenno all’ultimo dei tre articoli pubblicati dal precitato settimanale. Si tratta di una traduzione, dello stesso Stefano Vastano, di uno scritto di Hans Magnus Enzensberger dal titolo “L’Isis dei cristiani in Cina”. Il documento ricorda la cosiddetta “insurrezione dei Taiping”, una sanguinosa guerra civile scatenata tra il 1850 e il 1865 in Cina. Il conflitto durò quindici anni e costò la vita ad almeno ventimila persone. Oggi in Occidente si parla molto raramente della predetta insurrezione perché, a parere dell’illustre autore dell’articolo, si vuole evitare il confronto con un’altra insurrezione che oggi attira tanto l’attenzione della politica internazionale. Si legge infatti testualmente:” Sono più che evidenti insomma le varie analogie con quel cosiddetto “Stato Islamico” che ora si trova in via di espansione dalle coste del Mediterraneo sino alle sperdute valli del Pakistan. Con la non lieve differenza però che allora, in Cina, a fondare il loro orrendo predominio sulla base di promesse tanto ambiziose non furono affatto dei musulmani, ma dei cristiani. E non fu quindi il Corano, ma la Bibbia il dogmatico fondamento su cui Hong Xiuquan, una volta autoproclamatosi re, eresse il suo cosiddetto “Regno celeste della Grande Pace”.
Carlo Rippa