L’aggressione disumana, a Ostia, di Roberto Spada al giornalista Rai di Nemo Daniele Piervincenzi, è il risultato inequivocabile di una politica gravemente malata e probabilmente irrecuperabile, sempre più sopraffatta dalla violenza e dalla sopraffazione di una criminalità dilagante. E’ anche, secondo il commento del direttore del Tg La 7 Enrico Mentana, “un manifesto della resa dello Stato”. E quando lo Stato non c’è, diventa inevitabile che al suo posto si sostituiscano poteri alternativi quasi sempre di natura criminale. Questo fenomeno, in Italia, si ripete con crescente frequenza, generando fatti solo apparentemente incredibili come quelli verificatisi nel Municipio romano di Ostia. Del resto il generale e crescente disinteresse per la politica, era stato confermato pochi giorni prima, domenica 5 novembre, quando è stato possibile accertare che il 63,5% degli elettori di Ostia ha deciso di non andare a votare. In ogni caso, la gravissima aggressione della quale si sono ampiamente interessati la maggior parte dei mass madia, nazionali e non solo, merita di certo una più ampia e articolata riflessione. Più volte, su questo stesso Giornale, ho avuto modo di scrivere sulla brillante intuizione del sociologo polacco Zygmunt Bauman, che ha elaborato, con un linguaggio semplice e mai riduttivo, il concetto di “società liquida”. Lo faccio anche con il presente articolo, sempre più convinto che l’idea della “liquidità” rappresenti l’essenza stessa del mondo in cui viviamo. La sempre più evidente crisi dello Stato (quale libertà decisionale rimane agli stati nazionali di fronte ai crescenti poteri delle entità supernazionali?), la crisi delle ideologie e dunque dei partiti politici, la crisi della famiglia e della scuola, l’inarrestabile deterioramento dell’intera struttura gerarchica della Chiesa cattolica, l’imperversare dell’individualismo sfrenato e del consumismo fine a se stesso, tutto questo, ha generato e consolida la cosiddetta “società liquida”, in cui il “non senso” prevale quasi sempre sulla “razionalità”. E’ venuta quindi meno per i singoli la possibilità di risolvere in modo omogeneo i vari problemi del nostro tempo. Con la crisi del concetto di comunità si è vanificata l’efficacia di qualunque appello a una comunità di valori che permettesse al singolo di sentirsi parte di qualcosa che ne interpretava i bisogni. All’interno della crisi del concetto di comunità, vero e proprio mutamento epocale, sono esplose tutte le “emergenze” che caratterizzano il presente e che tendono ad accentuarsi con il passare del tempo: la globalizzazione, il terrorismo, le migrazioni, la precarizzazione, la concentrazione della ricchezza in poche mani, le nuove povertà e diverse atre calamità ancora. C’è un modo per sopravvivere alla “liquidità”? Risponde Umberto Eco: “C’è, ed è rendersi appunto conto che si vive in una società liquida che richiede, per essere capita e forse superata, nuovi strumenti. Ma il guaio è che la politica e in gran parte l’intellighenzia non hanno ancora compreso la portata del fenomeno”. Il “caso di Ostia”, alla luce delle considerazioni che precedono, appare molto più grave e preoccupante, perché apre inevitabilmente una finestra sulle crescenti difficoltà che ci riserva il mondo in cui viviamo. Eppure, malgrado tutto, c’è ancora qualcuno che ogni tanto vede “una piccola luce in fondo al tunnel”. L’ottimismo non è sempre una virtù apprezzabile, soprattutto quando tende a stravolgere la realtà.
Carlo Rippa