Diversi scrittori e teologi cattolici, pur giustificando le critiche e le accuse alla Chiesa formulate da una crescente moltitudine di cattolici, sostengono convintamente l’assoluta necessità di rimanere comunque al “di dentro” della istituzione. Il cattolicissimo Francois Mauriac ha scritto testualmente:” In verità non posso dire di amare la Chiesa per se stessa. Se non credessi che essa ha ricevuto le parole della vita eterna, non avrei alcuna ammirazione per le sue strutture né per i suoi metodi. E detesterei molti capitoli della sua storia”. Nei primi giorni di gennaio dell’anno in corso, sono stato indotto a meditare sul contenuto di alcuni scritti che mi sono stati consegnati da un sincero Amico, nella recondita speranza che io potessi riconsiderare, sia pure in parte, la mia attuale collocazione religiosa fra i cristiani non cattolici. Oggetto della mia meditazione è stato il contenuto dei predetti scritti, sintesi della elaborazione teologica di tre autorevoli autori cattolici, i quali sostengono che seguendo il Vangelo di Gesù Cristo è di certo possibile operare critiche, anche le più sconvolgenti e radicali, nei confronti della Chiesa, rimanendo tuttavia fedeli alla Chiesa-istituzione-visibile. Il primo autore è Joseph Ratzinger, eletto Papa il 19 aprile 2005 e dimessosi inaspettatamente l’11 febbraio 2013, dopo otto anni di pontificato. Riferisco alcuni suoi concetti fondamentali, desumibili dagli interventi tenuti all’Accademia Cattolica di Baviera (Rizzoli): “Sono nella Chiesa perché credo che, ora come prima a prescindere da noi, dietro la “nostra Chiesa” vive la “Sua Chiesa” e che io non posso stare vicino a Lui se non rimanendo vicino e dentro alla sua Chiesa. Sono nella Chiesa perché, nonostante tutto, credo che nel profondo essa non sia nostra, bensì proprio “Sua”. (…) Malgrado tutte le sue debolezze umane, è la Chiesa che ci dà Gesù Cristo e solo grazie a essa noi possiamo riceverlo come una realtà viva, potente, che mi sfida e mi arricchisce qui e ora (…). Per quanto ci sia o ci sia stata infedeltà nella Chiesa, per quanto sia vero che essa ha costantemente bisogno di misurarsi su Gesù Cristo, non vi è alcuna contrapposizione definitiva tra Cristo e la Chiesa”. Il secondo autore è Hans Kung, teologo svizzero, scrittore brillante e fecondo. In una sua opera fondamentale “Essere cristiani” (Oscar Mondadori, Milano 1979) si legge fra l’altro: “Guardando al messaggio di Gesù, il cristiano ecclesialmente impegnato non ha motivo di rifuggire dalla critica alla Chiesa e di lasciare l’iniziativa a “quelli di fuori”. (…) La critica più severa scaturisce non dalle numerose obiezioni storiche, filosofiche, psicologiche, sociologiche, ma da quel medesimo Vangelo di Gesù Cristo a cui la Chiesa costantemente si richiama. In tal senso non ci si dovrà lasciare proibire neppure dal “di dentro” -neppure dal papa e neppure dai molti piccoli papi- di esercitare una critica nei confronti della Chiesa. (…) Nonostante tutto la Chiesa è pur sempre ammirata da più parti. E perché non dovrebbe esserlo? Contemporaneamente è anche da più parti biasimata e rifiutata…Queste reazioni contrastanti non dipendono solo dalla diversa mentalità degli uomini, ma anche dalla ambivalenza dello stesso fenomeno Chiesa”. (…) Gli uni esaltano l’efficienza di un’organizzazione ramificata in tutto il mondo e al tempo stesso radicata in un ambito ristretto, con centinaia di milioni di membri e una gerarchia rigidamente inquadrata. Altri vedono nell’efficiente organizzazione un apparato di potere che opera con strumenti temporali; nell’imponente moltitudine dei fedeli un cristianesimo tradizionalistico, appiattito e povero di sostanza; nell’ordinata gerarchia un’autorità amministrativa avida di potere e amante del fasto. Gli uni lodano la maestosa solennità di un culto intriso di tradizione, l’organicità del sistema teologico-dottrinale, il sostanzioso contributo culturale all’edificazione e alla strutturazione dell’Occidente cristiano. Altri invece vedono nella solennità liturgica un ritualismo esteriorizzato e antievangelico…Agli amministratori della sapienza, della potenza e delle conquiste della Chiesa, del suo splendore, del suo influsso e del suo prestigio, i suoi avversari ricordano con inesorabile lucidità le persecuzioni degli ebrei e le crociate, i processi contro gli eretici e i roghi riservati alle streghe, il colonialismo e le “guerre di religione”, le errate condanne di uomini e le errate soluzioni di problemi, le compromissioni con determinati sistemi sociali, apparati governativi e ambienti intellettuali, i molteplici insuccessi riguardo ai problemi della schiavitù, della guerra, della donna, della società e riguardo a questioni storiche o scientifiche coma la teoria dell’evoluzione. (…) Perché restare dunque nella Chiesa? Perché, aderendo con spirito critico e insieme solidale a questa comunità di fede, si aderisce nonostante tutto a una grande storia, dalla quale si attinge vita unitamente a tanti altri. Perché come membri della comunità di fede si è personalmente Chiesa, perché non si dovrebbe confondere la Chiesa con l’apparato e gli amministratori, né demandare loro la strutturazione della comunità. (…) E oggi in un momento in cui per la crisi manifesta del governo ecclesiastico appaiono incrinate l’autorità, l’unità, la credibilità di questa Chiesa che si sta sempre più rivelando debole, soggetta all’errore, in cerca di soluzioni, si sente pronunciare più che in stagioni trionfali la frase: Noi amiamo questa Chiesa- com’è di fatto e come potrebbe essere. Non come “madre”, ma come famiglia dei credenti, nel cui interesse esistono e a volte vanno anche semplicemente accettate le istituzioni, le costituzioni e le autorità”. Il terzo autore è Vittorio Messori, giornalista, scrittore, saggista, uno dei maggiori scrittori cattolici italiani. Di papa Francesco ha scritto: “Penso che, tutto sommato, a questo Papa della dottrina non importi molto” e “Questo papato ha operato una scelta unilaterale sulla misericordia. Da cattolico sono allarmato”. In un suo libro dal titolo “Scommessa sulla morte. La proposta cristiana: illusione o speranza?” del 1982, si legge fra l’altro: ”Devi tenere sempre presente la distinzione, senza la quale l’equivoco è costantemente in agguato; mai deve lasciarti la consapevolezza della “ineluttabile “ambiguità” della Chiesa. C’è infatti la chiesa e c’è la Chiesa. C’è la chiesa che tutti vedono, e spesso non è un gran bel vedere. Ma, “per nascosta che sia ai nostri occhi carnali, dietro le pur necessarie curie episcopali e i codici di diritto canonico” (Jacques Maritain) c’è la Chiesa, quella con la maiuscola, quella che non tutti vedono, quella che solo la fede può distinguere al di là della pesante facciata (…). Molti degli attacchi, delle accuse alla Chiesa sono giustificati ma al contempo fuori bersaglio perché non riconoscono questa sua duplicità di natura (…). Tutto sta ad intendersi se è della Chiesa o della chiesa che si parla. La fede mi fa scorgere più luce, più verità, più vita nel cattolicesimo che ovunque altrove…Non mi sono arreso facilmente (e, nell’ultimo, qualcosa ancora combatte) al fatto che la verità sull’uomo possa essere custodita da una Chiesa che è anche una istituzione…che per tanti aspetti mi è estranea”. Da quanto sopra scritto risulta abbastanza facile concludere che i tre illustri personaggi cattolici credono sostanzialmente in due chiese in una, diverse ma inscindibili. La prima, con la maiuscola, quella che non tutti vedono, quella che solo la fede può distinguere al di là della pesante facciata, quella che, secondo sant’Agostino è come la luna nuova, con la faccia oscura rivolta verso di noi e l’altra faccia illuminata dal sole. La seconda, con la minuscola, quella verso la quale moltissimi contemporanei provano repulsione, diffidenza, rancore, quella che è spesso più di ostacolo che di aiuto al divenire cristiani, che appare a molti una istituzione che divide piuttosto che riconciliare gli uomini. Questa seconda chiesa è la chiesa-gerarchica, la chiesa istituzione, che Gesù non ha mai detto di volere fondare e che con il passare del tempo, con lo studio, la meditazione, la preghiera ma, soprattutto, con la mia personale esperienza di vita, mi è diventata estranea. Comunque ho conservato la fede in Gesù Cristo e ogni giorno sento crescere in me la necessità della sua presenza e della sua mediazione con Dio, secondo il suo insegnamento centrale che chiede ad ogni singola persona di avere totale fiducia in Dio e, nel contempo, di preoccuparsi dei bisogni delle persone, cominciando da quelle più deboli e più povere. Nel Padre Nostro, la preghiera che Lui ha insegnato, non attribuisce a sé alcun ruolo. Conta soltanto il rapporto degli uomini con Dio e viceversa. Null’altro. Nessun mediatore. Che Dio solo regni.
Carlo Rippa