Il 21 marzo si è celebrata la tredicesima edizione della “Giornata Mondiale della Sindrome di Down”. La data è stata scelta dalle Nazioni Unite per dare risalto alla particolare alterazione genetica, ovvero la presenza di un terzo cromosoma 21, che caratterizza i bambini nati con questa sindrome.
Il tema scelto quest’anno ha messo in risalto il contributo che le persone portatrici di questa “disabilità” possono e devono dare alla comunità. Una giornata caratterizzata da tante iniziative culturali, sportive ed artistiche ma, al contempo, oggetto di altrettante riflessioni sul tema della disabilità. Viviamo, infatti, in un’epoca in cui chi è “diversamente abile” viene emarginato, considerato diverso, a volte deriso e, comunque, non sempre considerato una vera e propria risorsa per la società. Gli episodi di bullismo indirizzati a disabili sono notevolmente aumentati negli ultimi anni e l’esigenza di una presenza dello Stato è stata ribadita dai genitori di questi ragazzi, affinchè si crei una coscienza comune che possa tutelarli nel “dopo di noi”, ovvero possa garantire un sostegno amorevole a questi giovani bisognosi nel momento in cui i loro genitori non ci saranno più.
Quello che viene chiesto alla collettività è il rispetto, l’attenzione, la cura nei confronti di chi non è completamente in grado di badare a sé stesso, a chi viene considerato diverso da un modello ideale di individuo, ma che per questo non può e non deve essere considerato inferiore.
I disabili che vivono con noi sono una grande risorsa e, per aiutare la collettività a comprenderlo, è stata creata, sempre in occasione della giornata mondiale della sindrome di Down, la campagna a sostegno dell’inclusione scolastica “Lea goes to school”. Si tratta di un video un cui una bambina, a cui non importa niente di avere gli occhi a mandorla e un cromosoma in più, fa di tutto per stare nella classe con tutti i ragazzini della sua età, non solo con quelli speciali. Ancora oggi, infatti, molti Paesi negano o limitano il diritto degli studenti con disabilità ad essere educati in scuole o classi regolari e persino l’Italia, pur avendo un quadro normativo tra i più avanzati, ha ancora molta strada da fare. Solo favorendo l’inclusione si potranno superare i preconcetti culturali che delimitano la capacità di agire e di vivere nella società civile di questi ragazzi.
L’importanza di questa giornata non è di poco conto se si considera che ci sono paesi ritenuti estremamente civili, quali l’Islanda, dove il 100% delle donne che scoprono di aspettare un figlio Down abortiscono. Il dato è sconcertante, ma deve essere il punto di partenza per una sempre più attiva campagna di sensibilizzazione sul tema della disabilità.
La conquista più grande per questi giovani, che sin da piccolissimi sono costretti ad affrontare difficoltà enormi -basti pensare alle patologie cardiache spesso connesse alla sindrome di Down- è sicuramente quella sportiva. Lo sport, infatti, unisce e rende uguali e può far si che una sirenetta disabile, Arianna Sacripante, gareggi insieme all’oro mondiale azzurro Giorgio Minisini, esibendosi il prossimo 13 maggio a Kyoto, in Giappone, nell’ambito del 27° Parafestival di nuoto sincronizzato.
Un esempio di inclusione che dimostra che tutto si può fare, basta volerlo, e che ci ricorda sempre più l’importanza che tutti, soprattutto i disabili, hanno nella comunità civile.
Emanuela Salerno