Negli anni è diventata il simbolo di un’emergenza. La baraccopoli di San Ferdinando, smantellata ieri mattina per l’ennesima volta, ha richiamato negli anni centinaia di persone che vi hanno trovato alloggio per lavorare come braccianti, spesso in nero, per le aziende agrumicole della Piana di Gioia Tauro. Migliaia di persone, prevalentemente uomini, richiamate nel comprensorio per la campagna agrumicola. In passato anche cinquemila, oggi circa tremila nei momenti cruciali. In questi giorni circa mille, visto che la stagione è agli sgoccioli. Stamane 900 persone hanno dovuto lasciare le baracche di cartone e lamiere arrugginite per scegliere dove trasferirsi: alcuni nei centri Sprar della regione, altri nella vicina tendopoli allestita dalla Protezione civile della Regione Calabria con tende e servizi, altri ancora saliti sui treni per cercare fortuna altrove. Quella di San Ferdinando è un’emergenza infinita. Anni di rinvii e di annunci. Non è, infatti, la prima volta che si prova a smantellare la baraccopoli, abbattuta e rinata come l’Araba Fenice. In passato vari interventi sono caduti nel vuoto. Intere aree furono smantellate e rase al suolo, sempre su ordinanza dei sindaci che si sono succeduti, ma in pochi giorni ogni volta le baracche di cartone e lamiere sono tornate nella loro precarietà. Due anni fa fu emessa un’ordinanza di sgombero e demolizione, ma rimase inattuata; l’ultima, emessa dal sindaco Andrea Tripodi, è di pochi giorni addietro. Una polveriera che prima o poi sarebbe dovuta scoppiare. Cosa avvenuta il 7 gennaio 2010, quando sconosciuti spararono diversi colpi con un’arma ad aria compressa su tre immigrati di ritorno dai campi. Il ferimento fece scattare la sommossa. Per due giorni, “la rivolta di Rossano” mise in piazza violenza e guerriglia: 53 persone ferite, tra cui poliziotti, rosarnesi e immigrati. Da un lato, i migranti, stanchi di vivere in condizioni disumane, dall’altra i rosarnesi, armati di mazze e bastoni per cacciare quella stessa manodopera di cui si sono sempre serviti. I migranti furono trasferiti nei centri di identificazione ed espulsione, ma nei mesi successivi tutto tornò come prima e gli “stranieri” tornarono ad abitare le baracche per lavorare nei campi. Più volte la baraccopoli è stata teatro di incendi scatenati dai fuochi accesi per scaldarsi durante la notte o per dolo, come avvenne il 27 gennaio 2018 quando perse la vita una 26enne nigeriana, Becky Moses, vittima di un incendio doloso che portò anche al fermo di una donna straniera che avrebbe agito per gelosia. Il 2 dicembre 2018 toccò a Surawa Jaith, un gambiano che non aveva ancora compiuto 18 anni. Il 16 febbraio scorso la morte di Moussa Ba, un senegalese di 29 anni. Quest’ultima tragedia ha fatto scattare la decisione di demolire definitivamente la baraccopoli. Ma in molti si chiedono cosa accadrà nel prossimo periodo di raccolta degli agrumi, quando qualcuno dovrà tornare a riempire le cassette di agrumi.