I Comuni italiani tengono sempre più per sè le informazioni sui beni confiscati alla mafia, e ancora peggio fanno quelli del Sud. Il dato – reso evidente di recente dall’episodio che ha visto assegnata a un partito politico un bene confiscato nell’Agrigentino – emerge dal rapporto di Libera, che usa clemenza nel “rimandare” a un prossimo esame la trasparenza degli enti locali in un Paese che dall’utilizzo di quei beni potrebbe trarre grande giovamento. Libera ha monitorato il totale dei Comuni italiani al cui patrimonio indisponibile sono stati “destinati” i beni immobili confiscati alle mafie per finalità istituzionali o per scopi sociali. Su 1.073 comuni monitorati ben 681 comuni italiani destinatari di beni immobili confiscati non pubblicano l’elenco sul loro sito internet, così come previsto dalla legge, pari al 63,5% del totale. Il primato negativo in termini assoluti spetta ai comuni del Sud Italia, comprese le isole, con ben 400 Comuni che non pubblicano l’elenco; seguono il Nord Italia con 215 comuni e il Centro con 66 comuni che non pubblicano dati. Tra le regioni meno trasparenti vi sono la Calabria, dove solo il 18,8% dei comuni pubblicano l’elenco, a seguire l’Abruzzo e il Friuli Venezia Giulia (25%), la Sicilia (29,9%) e la Toscana (29,6%). Un approfondimento è stato fatto sulla modalità di pubblicazione dell’elenco, da cui dipende in maniera sostanziale la qualità dei dati messi a disposizione: gli open data sono ancora una chimera. Libera chiama in causa l’Agenzia nazionale dei beni confiscati. “Riteniamo – spiega l’asociazione – che si possa raggiungere una qualità del dato più alta usando dei modelli di elenco uguali per tutti, in questo modo la trasparenza diventerà veramente una pratica condivisa e partecipativa. Chiediamo che si possano progettare e realizzare dei percorsi di accompagnamento e formazione dei Comuni, soprattutto quelli più piccoli, per rendere i beni confiscati presidi di sviluppo sociale ed emancipazione per la comunità”.