Socrate, filosofo greco fra i più importanti della tradizione filosofica occidentale, era profondamente convinto che soltanto “la verità ci rende liberi” e che “esiste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l’ignoranza”. Nel mio piccolo ho avuto modo di maturare, fin da giovane, analoghe convinzioni, sintetizzate nella locuzione facilmente comprensibile: “chi ignora che le zebre hanno le strisce non è libero di disegnarle”. Ciò premesso, ritengo utile avviare una breve riflessione sul malvezzo di alcuni personaggi pubblici, soprattutto politici, di utilizzare con colpevole superficialità, in specie nei loro messaggi propagandistici, alcune parole che hanno un preciso significato scientifico, con l’inevitabile conseguenza di accrescere nell’opinione pubblica poco erudita l’ignoranza e di limitarne la libertà. Ad esempio, da alcune settimane, i mass media abbondano di variegate considerazioni sull’iniziativa del governo Renzi di abolire, per tutti, l’imposta sulla prima casa. L’idea non è nuova. E’ di certo nuova la determinazione con la quale la classe politica di maggioranza, di centrosinistra, dopo avere partorito la peregrina idea, si è prefissa di realizzarla con particolare ostinazione. Il governo in carica sostiene il provvedimento ritenendo che, essendo divenuta non più rinviabile la riduzione della pressione fiscale generale, si è stabilito di formulare una diversa disciplina della imposizione sulla prima casa, anche in considerazione del fatto che l’80 % circa delle famiglie italiane abita in case di proprietà. Peraltro, a parere del governo, l’abolizione del relativo balzello consentirebbe l’accumulo di nuovi mezzi monetari, che verrebbero destinati all’incremento della flebile domanda dei consumi interni. E’ corretto tutto questo? No, sicuramente no. Intanto non è vero che l’80% circa delle famiglie italiane abita in case “di proprietà”. Una casa può definirsi “di proprietà” se rientra nella piena e incondizionata disponibilità del proprietario. Perché ciò accada è necessario, fra l’altro, che sulla casa non gravino debiti assistiti da garanzie reali di alcun genere. Il proprietario di una casa acquistata utilizzando un mutuo concesso da una banca o altro istituto finanziario, fino a quando non avrà estinto interamente il debito contratto, può definirsi proprietario solo in senso formale, ma di certo non in senso sostanziale o economico. La sua posizione è del tutto equivalente a quella di chi detiene in godimento una casa altrui e deve corrispondere al proprietario il relativo canone. Del resto l’imposta sulla casa rientra fra le imposte patrimoniali, cioè fra le imposte che colpiscono tutti o soltanto alcuni beni costituenti il patrimonio netto del contribuente. E’ sufficiente conoscere i principi elementari della scienza economica per sapere che il patrimonio netto di ogni contribuente e, più in generale di ogni azienda (e la famiglia è il prototipo delle aziende), è l’eccedenza del valore complessivo dei beni posseduti sul valore complessivo dei debiti contratti per la loro acquisizione. Soltanto il patrimonio netto indica la ricchezza vera delle persone fisiche e giuridiche. L’eguaglianza dei due predetti valori complessivi indica un patrimonio netto uguale a zero e, quindi, fiscalmente non imponibile. L’eccedenza del valore complessivo dei debiti sul valore complessivo dei beni costituisce il deficit patrimoniale, ovvero l’incapacità del soggetto interessato di ripianare i debiti mediante la cessione totale dei beni posseduti. Sono concetti elementari che ogni persona dovrebbe ben conoscere, anche per mantenere la propria libertà e, nel contempo, difendersi dal buio dell’ignoranza, che è il vero male di una società come la nostra. Da quanto fin qui detto, è facile desumere che l’imposta sulla casa gravata da mutuo, soprattutto se trattasi di prima casa o di unica casa, non è soltanto un grossolano errore economico-tecnico. L’imposta in argomento è anche profondamente iniqua, perché colpisce un elemento patrimoniale del contribuente al prezzo di acquisizione, senza detrarre il valore del correlativo mutuo. Ancora, il governo Renzi non ha ritenuto di chiarire sufficientemente per quale ragionevole motivazione debbano essere esentati dalla predetta imposta patrimoniale non solo i contribuenti che possono acquistare un’abitazione senza dovere ricorrere ad alcun finanziamento esterno, ma finanche i proprietari di abitazioni di lusso e super lusso, per come si legge nella prima stesura della legge di stabilità. Ma perché accade tutto questo? Perché i governanti privilegiano sempre le persone ricche e potenti e trascurano sostanzialmente le persone povere e deboli? Spesso mi viene da pensare che, nel mondo, una piccolissima percentuale di persone molto ricche, potenti e malefiche, abbia misteriosamente concordato di mantenere ed accrescere sempre più la disuguaglianza fra le persone, così mettendo in crisi il benessere economico e sociale delle nazioni e degli individui. Si potrebbe così intendere perché sia diventato impossibile eliminare o quantomeno ridurre la povertà, l’iniqua distribuzione del reddito, l’insicurezza alimentare, le ingiuste differenze nell’accesso alla terra e alle risorse naturali. Oltre tre miliardi di persone al mondo vivono con meno di due dollari al giorno ed un miliardo di bambini sono poveri. La ricchezza detenuta da Bill Gates supera il Pil di ben 140 nazioni del pianeta. E si potrebbe continuare all’infinito. Com’è possibile che tutto ciò accada? Ma soprattutto: com’è possibile che ci siamo abituati a considerare normale un mondo in cui una minoranza siede permanentemente ad un lauto banchetto mentre tutti gli altri devono accontentarsi delle briciole? Com’è possibile subire passivamente le conseguenze di decisioni assurde e disastrose come le guerre, le emigrazioni di massa, le catastrofi ambientali, le ingiustizie di ogni genere, che rendono ancora più insopportabile la fatica di vivere? Giacomo Leopardi, ormai stanco di fare domande alla luna, negli ultimi versi del suo sublime “Canto notturno”, lascia intravedere una risposta ai predetti interrogativi: “O forse erra dal vero,/mirando all’altrui sorte il mio pensiero./Forse in qual forma, in quale stato che sia,/dentro covile o cuna,/ è funesto a chi nasce il dì natale”.
Carlo Rippa