VIBO VALENTIA. Sono tutti di Sorianello, centro delle Preserre vibonesi, i fermati nell’ambito dell’operazione antimafia di ieri denominata “Black Widows” della Squadra Mobile di Vibo Valentia, coordinata dalla Dda di Catanzaro, nell’ambito della guerra di mafia che da alcuni anni sta insanguinando tale zona del Vibonese. Due i gruppi rivali contrapposti: i Loielo di Ariola di Gerocarne e gli Emanuele di Sorianello. I fermati, fra cui due donne, sono: Vincenzo Cocciolo, Domenico Inzillo, 63 anni, Michele Nardo, 37 anni; Antonio Farina, 43 anni, Giuseppe Muller, 21 anni; Viola Inzillo, Rosa Inzillo. Sono tutti accusati di aver concorso nel tentato omicidio di Giovanni Nesci, di 28 anni, e del fratello minore (affetto dalla sindrome di down) il 28 luglio 2017 mentre si trovavano a piedi in una via di Sorianello. Giovanni Nesci era rimasto ferito anche in un altro agguato il 2 aprile 2017 mentre viaggiava a bordo della sua auto. In passato era stato al centro di una vicenda giudiziaria che l’ha visto condannato con l’accusa di tentata estorsione. La Polizia di Stato e in particolare gli uomini della Squadra Mobile di Vibo Valentia e del Commissariato di Serra San Bruno, con il supporto del Servizio Centrale Operativo di Roma e del Reparto Prevenzione Crimine di Vibo Valentia, hanno eseguito nella notte un decreto di fermo, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro. I sette indagati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di tentato omicidio, detenzione e porto abusivo di armi – provento di furto o comunque alterate per aumentarne la potenzialità offensiva oltre che di ricettazione: reati tutti aggravati dal metodo mafioso. Le indagini avrebbero rivelato i complessi equilibri che portarono all’agguato ai fratelli Nesci, e le trame ordite dagli Inzillo, contigui agli Emanuele, per colpire gli avversari, espressione della famiglia Loielo. Sullo sfondo l’operato delle donne della famiglia Inzillo per la determinazione evidenziata nei propositi delittuosi, per il supporto all’azione assicurato in favore degli uomini della famiglia, in particolare garantendo la custodia delle armi, perfino coinvolgendo l’anziana madre, indotta dalle figlie a nascondere una pistola nella sua biancheria intima, al fine di fugare eventuali controlli da parte delle forze dell’ordine.
Gratteri: “Ci stiamo riappropriando di questa porzione di territorio”
VIBO VALENTIA. “Non è un caso che siamo di nuovo qui, oggi, a Vibo Valentia ma perché ciò rappresenta l’ennesima tappa di un progetto di sicurezza che abbiamo avviato da un anno e mezzo a questa parte in questa porzione di territorio calabrese”. Lo ha detto Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro, nel corso della conferenza stampa indetta a seguito dell’operazione “Black Windows”. “Gente – ha aggiunto Gratteri – che si stava organizzando per uccidere ed inserita in una zona caratterizzata da focolai di ‘ndrangheta. Il nostro compito è quello di rispondere e soprattutto prevenire la commissione di delitti, come in questa occasione. Vibo resta al centro dell’attenzione della Dda ed è sintomatico che sette nuovi ispettori siano stati destinati alla squadra mobile vibonese”. Per il procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri “è stato necessario intervenire perché la situazione che si stava incancrenendo ha trovato poi un momento acuto di tensione in una serie di azioni delittuose: dal tentato omicidio di Alessandro Nesci all’agguato consumato ai danni di Salvatore Inzillo e a quello ancora ai danni sempre di Nesci”. Lo stesso Bombardieri ha parlato del “validissimo coordinamento di polizia giudiziaria ad opera dei pm Frustaci e Aliberti, che ha portato a far emergere la presenza di uno stato di tensione che si alimentava e veniva alimentato con profondo odio in maniera particolare dalle donne della famiglia nei confronti di Nesci, legato al gruppo dei Loielo, ritenuto il responsabile del delitto di Inzillo”. Nell’operazione sono stati impegnati circa 100 uomini. Per il questore Filippo Bonfiglio si è trattato della “conclusione di un’attività complessa, caratterizzata sempre da grande allarme a causa della costante sensazione che le persone indagate volessero effettivamente vendicare a tutti i costi l’uccisione del congiunto colpendo l’intero nucleo familiare dei Nesci.