Cassazione, pene rimodulabili in basso dopo l’abrogazione della legge Fini-Giovanardi
CATANZARO. Le persone condannate in via definitiva per reati di droga con la legge Fini-Giovanardi potranno chiedere, per effetto della sua abrogazione ed il ritorno alla legge Jervolino-Vassalli, che la rideterminazione della pena non si limiti alla cosiddetta “quota di eccedenza” ma sia commisurata ad un nuovo apprezzamento dei fatti da parte del giudice esecutore. È il principio sancito da una sentenza della prima sezione penale della Corte di Cassazione in riferimento ad un ricorso presentato dal professor Nunzio Raimondi per conto di un giovane, G.P., di Cosenza. L’imputato era stato condannato il 6 dicembre del 2012 ad una pena molto elevata per numerosi episodi di spaccio di droghe leggere. Dopo il passaggio in giudicato della sentenza, il suo difensore, l’avvocato Raimondi, si era rivolto al tribunale per ottenere, a seguito dell’abrogazione della legge Fini-Giovanardi, la rideterminazione della pena in modo più favorevole al suo assistito. La rideterminazione non era stata però effettuata nei termini richiesti dal difensore avendo il giudice di Cosenza applicato al giovane solo la riduzione di pena secondo la quota di eccedenza rispetto a quanto previsto dalla legge Jervolino-Vassalli. Raimondi ha quindi presentato ricorso alla Cassazione sostenendo che il giudice dell’esecuzione, in caso di abrogazione della disciplina vigente all’epoca della condanna, deve esercitare “poteri di cognizione piena – ha sostenuto il legale – sull’intero fatto ed applicare la sanzione prevista dalla legge ritornata vigente. E ciò con la massima libertà di giudizio e con il solo limite della cornice edittale della disciplina ritornata applicabile”.