Colpo ai clan del Tirreno cosentino
Due clan pericolosi e feroci, “legittimati” dalla ‘ndrangheta di Cosenza, armati fino ai denti e capaci di imporre il pizzo a tutte le attività imprenditoriali che gravitavano in un vasto lembo sul Tirreno. A “fotografare” lo spessore criminale delle cosche Tundis e Calabria, egemoni nel Paolano, in un’area che va da San Lucido fino alle porte di Amantea, sono stati i carabinieri del Comando provinciale di Cosenza che, con il coordinamento della Dda di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Gratteri, hanno eseguito questa mattina 37 misure cautelari svelando gli affari, gli interessi e le alleanze di una consorteria particolare aggressiva e pervasiva. “Oggi è una giornata significativa”, ha affermato il procuratore aggiunto della Dda Vincenzo Capomolla, nel corso della conferenza stampa convocata nella sede della Procura di Catanzaro per presentare i risultati di un blitz dal nome eloquente, “Affari di famiglia”. Nell’incontro con i giornalisti, al quale hanno partecipato i vertici dell’Arma tra cui il comandante provinciale di Cosenza, il colonnello Agatino Spoto, gli inquirenti hanno ricostruito le dinamiche delle cosche Tundis e Calabria, dinamiche fondate soprattutto sul traffico di droga, con il supporto di due gruppi “specializzati” e con canali stabili di approvvigionamento anche nella Piana di Gioia Tauro, e sulle estorsioni, condotte a tappeto e con metodi violenti e cruenti, con il pizzo imposto a suon di danneggiamenti compiuti anche con l’uso di esplosivi e con incendi di locali e di automezzi. “Non risparmiavano nessuno”, ha specificato ancora Capomolla spiegando che a finire sotto le grinfie del sodalizio sono state imprese che eseguivano lavori pubblici a San Lucido e in altri Comuni dell’hinterland paolano, come l’adeguamento di una scuola, la manutenzione delle strade, la realizzazione di un tratto della linea ferroviaria, o lavori privati. Una pressione mafiosa fortissima, quella esercitata sul territorio dai clan Tundis e Calabria che inoltre – hanno poi aggiunto gli inquirenti – in modo diretto e indiretto si erano infiltrati anche nell’economia legale entrando a piene mani nel settore del commercio del pesce, del commercio di legname e del commercio di automobili. Tutti elementi che gli investigatori sono riusciti a ricostruire grazie alle dichiarazioni di diversi pentiti e alle attività classiche delle intercettazioni e degli appostamenti, che hanno svelato un territorio letteralmente sotto scacco mafioso. “Encomiabili -ha sostenuto ancora Capomollal’attività e la tenacia dei carabinieri che si sono dovuti misurare con l’atteggiamento non molto collaborativo delle vittime, per questo vogliamo incoraggiare un maggiore affidamento nelle attività delle forze dell’ordine, che -ha rimarcato il Procuratore aggiunto- sono presenti sul territorio”. Del resto la ferocia degli esponenti delle due cosche, che potevano godere tra l’altro di una grande disponibilità di armi, era risaputa, al punto che i clan Tundis e Calabria hanno anche provato a espandersi oltre i confini del territorio da loro storicamente egemonizzato, forti anche -è stato riferito dagli inquirenti nella conferenza stampa- dei legami con la ‘ndrangheta del capoluogo, Cosenza, in particolare con il clan retto dal presunto boss Francesco Patitucci e poi dal reggente Roberto Porcaro, che di recente ha deciso di collaborare con la Dda di Catanzaro e che è tra i destinatari dei provvedimenti restrittivi eseguiti: “Le cosche Tundis e Calabria hanno intrattenuto rapporti costanti e molto stretti con la cosca confederata di Cosenza che ha legittimato le loro attività”, hanno infatti evidenziato gli investigatori. Rapporti che si sono cementati soprattutto nel campo della droga e del traffico di sostanze stupefacenti, che i clan Tundis e Calabria gestivano avvalendosi di due associazioni “satelliti”, la prima attiva a San Lucido e direttamente riconducibile ai due clan apicali e la seconda attiva a Paola. Un network capillare sul territorio per disarticolare il quale i carabinieri hanno dato fondo a tutte le loro risorse, mettendo in campo oltre 200 militari coadiuvati dai Cacciatori di Calabria per eseguire il blitz “Affari di famiglia”.
Gli indagati sono 46, 37 le misure cautelari
Sono 46, in totale, le persone indagate dalla Direzione distrettuale di Catanzaro e ritenute vicine alle cosche attive sul Tirreno cosentino. Ieri mattina, i carabinieri del comando provinciale di Cosenza hanno eseguito 37 misure cautelari tra misure restrittive in carcere, ai domiciliari, obblighi e divieti di dimora, obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria e interdizioni dall’esercizio dell’attività imprenditoriale. In carcere sono finiti: Andrea Alò; Gianluca Arlia; Luciano Bruno; Fabio Calabria; Giuseppe Calabria; Pietro Calabria; Salvatore Caruso; Michele Iannelli; Giuseppe La Rosa; Eugenio Logatto; Mario Maiolo; Marco Manfredi; Gabriele Molinaro; Roberto Porcaro; Andrea Tundis; Emanuele Tundis; Michele Tundis; Pamela Villecco. Ai domiciliari si trovano Raffaele Conforti; Paolo D’Amato; Giovanni Fiore; Giovanni Garofalo; Vincenzo Nesci; Cristian Vommaro; Francesco Serpa. Obbligo di dimora e presentazione alla polizia giudiziaria per Gianluca Ambrosi; Andrea Santoro; Claudio Santoro; Alessandro Serpa; Eugenio Filippo; Albino Sammarco; Vincenzo Senatore; Giovanni Vattimo; Luca Marincola Vommaro. Divieto di dimora a Paola e San Lucido per Francesco Lenti. Interdizione dell’esercizio dell’attività imprenditoriale per Francesco Loizzo (già direttore sportivo della Paolana) e Sestino Vulnera. Altri nove sono indagati in stato di libertà.