Produzione ferme per Dpcm, in stand by 500 aziende calabresi

Produzione ferme per Dpcm, in stand by 500 aziende calabresi

Sono oltre 500, in Calabria, le aziende in attesa del via libera alla produzione in base alle norme dettate dal governo in materia di protezione dal contagio sui luoghi di lavoro. Il dato è in continuo aggiornamento. Gli elenchi delle aziende sono in mano alle prefetture, dove sono insediati i comitati provinciali istituiti su tutto il territorio nazionale. ​Nello specifico, secondo quanto risulta, le richieste pervenute agli uffici territoriali del governo sono 130, di cui 10 rigettate, nella provincia di Catanzaro; 49 quelle in provincia di Vibo Valentia, 3 in quella di Crotone, 160 in quella di Cosenza, 170 nella provincia di Reggio Calabria. Si tratta di realtà produttive che, in base all’Ateco, cioè il codice che identifica la tipologia di attività, non rientrano fra quelle considerate essenziali. Fra di esse ci sono realtà significative, come l’Alfa Gomma di Cosenza, in cui operano 200 dipendenti. In realtà la produzione non è bloccata, perché, come evidenziano i sindacati, le norme consentono un margine di flessibilità per alcune realtà che, pur non rientrando in quelle essenziali, segnalano di non poter fermare gli stabilimenti in quanto lavorano per aziende strategiche che senza il loro supporto non potrebbero andare avanti. In attesa del responso, vanno avanti. “Si tratta di un’anomalia – spiega Santo Biondo, segretario della Uil calabrese, perché in attesa del pronunciamento delle prefetture che dovrà avvenire sulla base delle verifiche, i lavoratori continuano a essere esposti al rischio del contagio, per cui abbiamo chiesto la verifica da perte della Guardia di Finanza e delle altre istituzioni a ciò deputate circa il rispetto delle norme sanitarie. E, comunque, il fatto che continuino a produrre pone una questione di correttezza nei confronti di quelle aziende che si sono fermate. Occorre, quindi, quanto meno accelerare le verifiche affinché sia fugato ogni dubbio”. In Calabria operano siti produttivi di rilevanza, come la Hitachi rail di Reggio, che produce materiale rotabile e impegna, direttamente o nell’indotto, complessivamente 800 persone. La produzione si è fermata a marzo, prima cioè che intervenissero le disposizioni governative, in base ad un accordo con sindacati. C’è poi il problema del porto di Gioia Tauro, in cui operano 1.000 persone. Gli scali marittimi rientrano fra le attività essenziali, ma anche qui i sindacati pongono degli interrogativi, fra cui la presenza tra i portuali di persone che risiedono in comuni del comprensorio considerate “zona rossa”. Il punto di vista delle aziende è sintetizzato dal presidente di Unindustria Calabria, Natale Mazzuca: “La premessa di tutto – spiega – è la tutela dei lavoratori, ma la fase è molto difficile. La Calabria continua a perdere 1 miliardo e mezzo di Pil. E’ necessario riavviare il sistema produttivo riavviando per scaglioni le aziende, alcune delle quali rischiano di non riaprire più. Questo – aggiunge Mazzuca – va fatto attraverso protocolli volti alla tutela della salute dei lavoratori e delle loro famiglie. E’ importante che questo avvenga in tempi brevi. Le imprese – ribadisce – hanno a cuore prima di tutto i lavoratori. In Italia 24 milioni di persone lavorano nel privato”. Il decreto liquidità, che dovrebbe sbloccare 400 miliardi varato dal governo, è, secondo il presidente degli industriali calabresi, un passaggio importante, ma anche in questo caso si combatte contro il tempo. “Il decreto ancora – aggiunge – non è stato pubblicato. Quando arriveranno i fondi? Una parte di essi, pari a 200 miliardi, ha la garanzia della Sace; l’altra ha bisogno dell’autorizzazione della Ue. Poi c’è il ruolo delle banche – prosegue – che devono collaborare. L’effetto del decreto deve essere immediato. Occorre fare sistema, lavorare tutti inseme per uscire da uno scenario disastroso”.

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