L’opinione di Carlo Rippa/ Le mani, strumenti essenziali della nostra vita
Il 10 marzo 2015 su questo stesso giornale è stato pubblicato un mio articolo: Le tante “parole” del silenzio. Lo avevo scritto dopo avere scoperto per caso l’ultima fatica di Bice Mortara Garavelli, accademica della Crusca, autrice del fortunato libro “Silenzi d’autore” (Laterza, 2015), con il quale l’Autrice riesce ad intrattenere il lettore sull’assenza di parole, su ciò che non ha un suono, scegliendo le pagine letterarie più note sul silenzio. Guida dunque il lettore da una all’altra pagina della sua personale antologia per fargli capire che il silenzio non è solo quiete o non detto, non è solo un atteggiamento religioso, non è solo stupore di fronte all’indicibile. Aggiungevo, in quell’occasione, che il silenzio è un linguaggio che ogni uomo dovrebbe conoscere e opportunamente utilizzare, evitando conseguentemente di utilizzare le parole per nascondere il pensiero, come molto spesso accade. Con il presente scritto, sempre più convinto che l’uomo, per comunicare con i suoi simili, è dotato naturalmente di vari altri mezzi, come le mani, lo sguardo, il sorriso, molte altre espressioni del volto o atteggiamenti del corpo, ho deciso di intrattenere brevemente i miei lettori anche sul più umano, visibile, misterioso e personale strumento di comunicazione: le mani. Sullo stesso argomento, il 26 gennaio del corrente anno, l’Editore Ponte alle Grazie ha pubblicato un pregevole saggio del noto psicanalista inglese Darian Leader “Mani. Come le usiamo e perché”, che racconta l’affascinante storia dell’uomo a partire dal ruolo delle mani, riferendo vari esempi e aggiornate teorie sul loro uso, sui loro significati simbolici e, in particolare, sul rapporto tra gestualità e nuove tecnologie. Il predetto saggio ha suscitato in particolare l’interesse di molti psicologi, sociologi, storici e studiosi del comportamento, i quali per giunta continuano ad interessarsi dell’argomento con sorprendente frequenza. Il settimanale L’Espresso del 16 luglio 2017 ha pubblicato un interessante articolo dello scrittore e critico letterario italiano Marco Belpoliti, dal significativo titolo “Tocco e fuggo”, con il quale l’autore considera fra l’altro, con indubbia efficacia, il rapporto tra gestualità e nuove tecnologie, richiamando spesso il saggio dello psicoanalista inglese. Inizia il suo scritto con le seguenti parole: “Entro nel vagone della metropolitana. Sono tutti occupati a digitare sul loro cellulare, sia le persone sedute come quelle in piedi. Sguardo fisso e mani che si muovono rapide. Al parco, medesima scena. Su una panchina conto quattro adulti seduti: stanno tutti scrivendo sul loro smartphone. Dovunque vado vedo gente che non fa che manipolare il proprio telefonino”. E’ il caso di ricordare che prima dei cellulari c’è stato il telecomando della televisione, di cui il cellulare rappresenta una inevitabile estensione. Darian Leader, nel suo libro sopra citato, non dimentica di ribadire che nel passato, ben prima della manipolazione compulsiva del cellulare, le mani non stavano mai ferme: agitavano ventagli, s’infilavano nelle tasche, manipolavano piccoli oggetti, toccavano in modo alternato varie parti del corpo. Un tempo erano i rosari a scivolare tra le mani delle donne, così come degli uomini nei paesi islamici. La spiegazione dello psicanalista inglese è assai interessante:”Uno degli scopi principali della vita umana è quello di distrarsi dalle situazioni di eccessiva vicinanza al prossimo, persino se lo si ama”. E sul punto Darian Leader conclude con estrema chiarezza: “Telefoni, computer, tablet, consentono di astrarci dalla nostra situazione di prossimità agli altri, dalle richieste che essa comporta”. Concludo, non prima di avere espresso la piena convinzione che nessuna persona ragionevole dovrebbe nutrire alcun dubbio sul fatto che da quando abbiamo smesso di ciondolarci appesi ai rami degli alberi, le nostre mani sono diventati strumenti essenziali della nostra vita, consentendoci di entrare in relazione col mondo, che si tratti di scrivere, lavorare, guidare, cucinare, mangiare, compiere qualunque altra azione. Senza le mani la nostra stessa evoluzione sarebbe stata del tutto insignificante. Stephen J. Gould ha sostenuto che i paleontologi, per capire come il nostro cervello si sia modificato nel tempo, avrebbero dovuto studiare meglio le mani più che i crani. In ogni caso rimane difficilmente comprensibile perchè le mani, malgrado la loro imprescindibile funzione di “deputate dell’azione e dell’espressione del corpo”, risultino oggettivamente poco studiate. Eppure esse rappresentano il più visibile e il più misterioso e personale dei nostri strumenti, espressione profonda della nostra umanità.
Carlo Rippa