L’opinione di Carlo Rippa/ Papa Francesco, un anno dopo

L’opinione di Carlo Rippa/ Papa Francesco, un anno dopo

Quasi un anno fa, il 2 gennaio 2015, su questo stesso giornale scrissi un articolo che piacque molto ai miei non numerosi lettori: “Natale 2014, le “perle” di Benigni e del Papa lo consegnano alla storia”. In esso argomentavo che erano soprattutto due gli avvenimenti che avrebbero consegnato alla storia del nostro Paese il Natale 2014: lo spettacolo di Roberto Benigni su “I Dieci Comandamenti”, trasmesso su Rai Uno nelle due prime serate del 15 e 16 dicembre; il discorso che il 22 dicembre papa Bergoglio rivolse alla Curia Romana per spiegare le quindici “piaghe” che affiggono l’organo di governo del Vaticano. Notavo, inoltre, che la rilettura  de “I dieci Comandamenti”, così come realizzata da Roberto Benigni, era stata sostanzialmente un inno appassionato all’amore, alla vita, alla ricerca della felicità, peraltro concepito da un “laico” intelligente, privo di pregiudizi, dotato di straordinaria cultura, onestà intellettuale, notevole sensibilità e capacità artistica, in un momento particolarmente critico per l’Italia. Nel contempo rilevavo che, dopo appena quattro giorni dal più straordinario spettacolo televisivo dell’anno, irrompeva su tutti i mezzi di comunicazione la notizia che papa Francesco, in occasione degli auguri di Natale alla Curia Romana, aveva scelto di pronunciare un discorso durissimo, elencando minuziosamente tutte le “malattie” che caratterizzano la complessa macchina curiale, e lasciando intendere che avrebbe avviato prestissimo la riforma del governo vaticano. Trascorso un anno dai due avvenimenti sopra ricordati, ho deciso di considerare brevemente i risultati finora prodotti dalla avviata attività di riforma del governo vaticano. Intanto occorre riconoscere che papa Francesco continua a operare costantemente nella Chiesa forti spinte innovative sui temi sociali e sui temi etici, che spesso travalicano il campo religioso ma, nel contempo, generano e alimentano forti tensioni e varie incomprensioni. Tuttavia, Papa Francesco, dei 265 Papi che lo hanno preceduto, risulta essere il più apprezzato, il più evocato, il più amato; quasi una reazione di fronte a una Chiesa romana che appare sempre più lacerata da lotte interne e scossa da continui scandali. Ho scritto in altre occasioni che la popolarità universale di papa Francesco nasce soprattutto dalla sua personale credibilità. Quando ripete “quanto vorrei una Chiesa povera e per i poveri” e critica con durezza il “desiderio spasmodico di ricchezza e di potere”, riscuote immancabilmente universale consenso. Il suo continuo richiamo a un Cristianesimo non solo “predicato” ma soprattutto “vissuto”, rappresenta ormai una costante in ogni suo discorso e conversazione. Eppure non mancano di certo scrittori e giornalisti autorevoli i quali, dopo avere effettuato l’esame e la valutazione delle iniziative e dei fatti compiuti dall’eccezionale Pontefice, ne hanno ricavato giudizi e opinioni poco esaltanti. Solo a titolo esemplificativo ricordo che sul settimanale l’Espresso del 29 ottobre 2015, lo stimato scrittore e giornalista Sandro Magister, specializzato nell’informazione religiosa, con particolare riferimento alla Chiesa cattolica e alla Santa Sede, ha scritto uno straordinario articolo: “Il Pontefice gioca su due sponde”, con sottotitolo: “Ci sono due Bergoglio: quello vero e quello mediatico: Il primo legato alla tradizione, il secondo “innovatore” e aperto”. Dopo avere accennato alla notizia bomba, subito smentita, della “macchia”  nel cervello del papa che aveva fatto esplodere i media, Sandro Magister scrive testualmente: “Ma nemmeno col sinodo si scherza. Non era mai accaduto che un consesso tra vescovi conquistasse le prime pagine dei giornali. E invece con Francesco accade. E’ un altro dei capolavori di questo papa così fuori dal comune (…). Il segreto di questo successo comunicativo è l’abilità sopraffina di Jorge Mario Bergoglio di giocare su due registri. Tra il sinodo del 2014 e questo del 2015 Francesco ha inanellato più di cinquanta interventi pubblici perfettamente in linea con la dottrina tradizionale della Chiesa: contro l’ideologia del “gender”, contro i divorziati risposati che “pretendono” la comunione e perfino a favore di una virtù antica e dimenticata come la castità prima del matrimonio. Ma tutto questo non sfonda minimamente sui media e nemmeno nel corpo della Chiesa, dove invece trionfano i continui rimbrotti del papa contro i “doganieri” privi di cuore e i suoi incessanti appelli a spalancare le porte della misericordia a divorziati e omosessuali. Questo doppio effetto mediatico, di silenzio e di rumore, Bergoglio lo sa e lo vuole”. Tuttavia, più del predetto giudizio critico, mi sconvolge l’enorme e crescente divario esistente tra il Papa più amato nella millenaria storia della Chiesa cattolica e le principali componenti della Chiesa-istituzione, per le quali questo Papa è troppo popolare, troppo proiettato all’esterno, troppo aperto, poco sensibile alla minaccia della secolarizzazione e, soprattutto, poco preoccupato che il proprio spazio venga sempre più conteso dalle altre religioni. Questo Papa insomma piace a troppi per essere accettato da una Chiesa gerarchica sempre più assediata dal mondo. Nel mio articolo del 2 gennaio 2015, richiamato in premessa, ho affermato che l’annunciata riforma del Vaticano sarebbe stata certamente un’operazione difficilissima, disseminata di molteplici ostacoli e cocenti delusioni. Del resto papa Ratzinger, di fronte alla impossibilità di curare adeguatamente le “malattie” della Curia Romana, decise di dimettersi dal soglio pontificio. Papa Francesco continua a sperare fortemente nell’aiuto dello Spirito Santo e a appellarsi alle folle. Ultimamente, in piazza San Pietro, si è scagliato contro l’avvenuto “furto” delle carte segrete sui malaffari della curia vaticana e, alla vigilia del Giubileo della Misericordia, ha imbastito un processo sul caso VatiLeaks 2, per molti aspetti paradossale, forse al fine di  rimuovere la trasparenza su tutto ciò che sta accadendo Oltretevere. A questo punto però il discorso diventa troppo lungo. Quindi concludo, non prima di avere augurato a papa Francesco un anno 2016 meno deludente e più proficuo dell’anno che sta per finire.

Carlo Rippa

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