L’opinione di Carlo Rippa/ Se l’ingiustizia ha il volto della povertà
L’ingiustizia ha il volto della povertà
Si può dire che il nostro sistema processual-penale proceda su un doppio binario. Sant’Ivo diceva che un buon processo è quello che non si celebra, perché prima si riesce a trovare una soluzione conciliativa. Da noi invece i processi non si fanno perché alcuni riescono a sfuggire alla logica e alla sanzione del processo grazie ad “escamotages” e privilegi. In realtà, sembra che il nostro processo sia diventato un percorso ad ostacoli, una prateria sconfinata dove i ricchi ed i potenti possono utilizzare precauzioni di ogni tipo e possono puntare, grazie a difese aggiuntive e marchingegni particolarmente sofisticati, alle pene minime ottenibili nelle particolari situazioni prospettate al Giudice, laddove i cittadini comuni, in specie quelli poveri o socialmente handicappati, incappano in una serie di ostacoli e trabocchetti dai quali possono venire compromessi i loro fondamentali diritti della persona o esserne in quanto cittadini di fronte alla legge, completamente stritolati. Insomma, quello che diceva Sant’Ivo sul processo sembrerebbe che oggi da noi abbia subito una netta inversione di tendenza in quanto può accadere che il processo non si celebri affatto, solo perché alcuni imputati particolarmente ricchi e potenti riescono a sfuggire al processo, e addirittura ad impedirne la conclusione. Le parole che avete fin qui letto non sono frutto del mio ingegno; sono state riprese, pari pari, dall’intervento che l’ex magistrato dott. Gian Carlo Caselli ha pronunciato in occasione del 7° centenario della morte di Santo Ivo di Bretagna avvenuta il 19 maggio 1303, patrono degli uomini di legge, dei giudici e dei docenti di discipline giuridiche. Ho condiviso, senza alcuna difficoltà, tutte le osservazioni oggetto nel precitato “intervento”, che mi ha interessato particolarmente anche perché, da qualche tempo, anch’io mi ero ripromesso di scrivere concetti analoghi a quelli sopra riportati sui processi nel nostro sistema giustizia che interessano le opposte condizioni sociali dei ricchi e dei poveri. Per intanto, sul fondamentale argomento, sento di dovere suggerire un’adeguata riflessione su un deprecabile avvenimento, del quale sono stato costretto a interessarmene circa cinque anni or sono. Si tratta di una persona, sicuramente povera e debole, chiamata a restituire con la massima sollecitudine e senza nulla a pretendere in cambio del rilascio, un modestissimo immobile, nel quale era nato e vissuto per oltre cinquanta anni, pagando puntualmente un equo canone. Detto immobile era divenuto, in brevissimo tempo, suscettibile di un uso infinitamente più vantaggioso per il proprietario il quale, per ottenerne l’immediato rilascio, ha sottoposto il “malcapitato” ad una serie di “intollerabili iniziative”, certamente ingiustificabili sotto l’aspetto umano e di certo contrarie alle norme di legge vigenti in materia. Sono stato quindi richiesto formalmente dall’interessato di interessarmi con particolare impegno dell’incresciosa situazione. Ho accettato l’incarico anche in qualità di cristiano non cattolico, da sempre convinto che soprattutto i poveri devono essere sicuri di trovare giustizia. Il mio lavoro è iniziato operando una serie di iniziative dirette a concordare con la controparte un’equa soluzione dell’assurda vicenda. Poiché tutto è risultato inutile si è reso inevitabile il ricorso alle vie legali e il conseguente avvio del relativo procedimento giudiziario. Questo, in estrema sintesi, ciò che è accaduto. Ritengo di doverlo ricordarlo ai miei lettori perché sono convinto che esso confermi con chiarezza molte delle riflessioni fatte dal dott. Gian Carlo Caselli nel suo “intervento” sopra riportato. Non v’è dubbio infatti che siamo in presenza di un processo fra ricchi e poveri. E’ altrettanto certo che, malgrado l’insegnamento di Sant’Ivo per il quale “un buon processo è quello che non si celebra, perchè prima si riesce a trovare una soluzione conciliativa”, a distanza di circa cinque anni dall’inizio della controversia, non risulta da alcuna parte che il proprietario dell’immobile abbia tentato di proporre alcuna “soluzione conciliativa” per la vertenza ancora in corso. Risultano invece esperiti “marchingegni”, “escamotages”, “precauzioni” di vario genere pur di distorcere a proprio vantaggio i fatti oggetto del processo. Ma ciò che personalmente temo di più è “che il processo non si celebri affatto, solo perchè alcuni imputati particolarmente ricchi e potenti riescono a sfuggire al processo, e addirittura ad impedirne la conclusione”. Mi sia consentito, infine, di esplicitare una considerazione del tutto personale e parecchio amara. Non credo che l‘argomento “ricchi e poveri di fronte alla giustizia” potrà mai diventare oggetto di razionali e positive indicazioni. Con il passare del tempo i ricchi diventeranno sempre più ricchi e potenti e i poveri aumenteranno di numero e in povertà. E’ la natura stessa dell’uomo, impastata di egoismo e sete di potere, che porta alla predetta conclusione. Del resto l’ambiente in cui viviamo è sempre più caratterizzato dalla crisi delle ideologie e del concetto di comunità, dalla esplosione dell’individualismo, dalle ossessioni di visibilità, dalla vita simbiotica con ogni strumento utile per trasmettere velocemente informazioni e immagini di ogni genere, dalla perdita della certezza del diritto e da numerose altre calamità. E’ la così detta “società liquida”, in cui il “non senso” prevale quasi sempre sulla razionalità. A rendere ancora più incerta la speranza che la tragica situazione generale che caratterizza il nostro tempo possa invertire la tendenza, concorre anche la constatazione che noi contemporanei siamo sempre più incapaci di venire a patti con la morte. Un tempo soprattutto le religioni si adoperavano a renderci la morte familiare. Oggi non è più così e della morte cerchiamo con ogni mezzo di rimuovere la stessa idea e perfino l’immagine. Ecco perché, in una condizione esistenziale così disastrosa, qualunque discussione sull’argomento “ricchi e poveri di fronte alla giustizia”, è destinata a suscitare scarso interesse e ancora più scarso entusiasmo.
Carlo Rippa