Operazione Recovery, gli inquirenti: “Per lo spaccio a Cosenza impiegati minorenni”

Operazione Recovery, gli inquirenti: “Per lo spaccio a Cosenza impiegati minorenni”

Un’organizzazione di ‘ndrangheta capillare, pervasiva e pressante, che aveva il monopolio dello spaccio di droga a Cosenza: è questo il quadro svelato dall’operazione “Recovery” con cui i carabinieri, la Polizia, e la Guardia di finanza, coordinati dalla Dda di Catanzaro, hanno smantellato una confederazione criminale che da anni dominava a Cosenza. Ben 142 le misure cautelari eseguite dalle forze dell’ordine in sinergia tra di loro nell’ambito di un’operazione che rappresenta l’appendice del maxi-blitz “Reset” di qualche anno fa: questa volta a essere decapitati sono stati i vertici del gruppo dei cosiddetti “italiani” della confederazione cosentina, dopo che “Reset” aveva colpito soprattutto la componente di etnia rom. Questa l’analisi fatta, in una conferenza stampa nella sede della Dda a Catanzaro, dal procuratore facente funzioni Vincenzo Capomolla, che ha poi spiegato: “tra i reati su cui abbiamo fatto luce ci sono anche le condotte estorsive che hanno continuato a asfissiare commercianti e imprenditori che operavano a Cosenza”. Ovviamente, l’”asset” principale della confederazione – ha rilevato Capomolla – era il traffico diffuso di droga di qualsiasi tipo: “L’organizzazione infatti – ha osservato il procuratore ff di Catanzaro – aveva il monopolio nel sistema controllato dagli appartenenti alla ‘ndrangheta, con collaudati e consolidati rapporti con i clan del Reggino, sia versante tirrenico sia jonico, da cui la consorteria di Cosenza si riforniva”. “Quello scoperto era a tutti gli effetti un ‘mercato totalizzante’, con sanzioni per chi smerciava ‘sotto banco’, e con una clientela diffusa e variegata”.
Per lo spaccio, inoltre, sono stati sfruttati anche dei minori, “forse uno degli aspetti più inquietanti”, ha sostenuto Capomolla. Secondo il questore di Cosenza, Giuseppe Cannizzaro, è emersa una “situazione di pressione dell’organizzazione su tutto il territorio, per questo c’è molta soddisfazione per il risultato di oggi che è il frutto di una grande sinergia. Guardiamo in prospettiva, non ci fermiamo per dare ancora più fiducia a chi ha visto la risposta dello Stato, affinché possa continuare a rivolgersi a noi”.

Ha parlato invece di “costante attenzione investigativa” il comandante provinciale dei Carabinieri di Cosenza, Agatino Saverio Spoto: “La collaborazione tra le forze di polizia serve a mantenere alta l’attenzione su Cosenza per scardinare i gruppi confederati e coordinati, al punto da versare in un’unica bacinella tutti i proventi del narcotraffico per poi reinvestirla”.
Per Giuseppe Dell’Anna, comandante provinciale della Guardia di Finanza di Cosenza, “questa operazione dimostra che Cosenza non è esente da criminalità organizzata, non è un’isola felice, forse c’è una pressione più defilata ma comunque c’è. Certo, ci siamo anche noi con una sinergia coordinata dalla Procura”. Ha parlato di “due livelli tecnici di indagine”» Giovanni Piscopo del Nucleo investigativo dei carabinieri di Cosenza, “con un livello tecnico e l’altro tradizionale, con indagini su strada, ottenendo uno spaccato importante di riscontro poi dalle analisi delle dichiarazioni dei collaborazioni di giustizia”, mentre il capo della Squadra mobile di Cosenza, Gabriele Presti, ha ricordato come l’organizzazione “garantiva il rispetto ferreo di queste regole, i vertici verificavano con attenzione che il giro funzionasse nonostante fossero sottoposti a misure cautelare e nonostante questo si incontravano, con un mutuo soccorso tra vertici in modo che ognuno potesse contare sull’altro se era in difficoltà. Una vera e propria ragnatela”. Infine, Marco Garofalo, dirigente dello Sco, ha ricordato anche le altre operazioni contro la ‘ndrangheta di Cosenza che “testimoniano un impegno costante del quale l’operazione di oggi è il punto terminale”.

 

 

 

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