Per anni hanno terrorizzato il Lametino: dodici persone arrestate dai Carabinieri
CATANZARO. Una faida cruenta, che ha insanguinato la montagna del Reventino, in provincia di Catanzaro, lasciando sul terreno, in quattro anni, sei vittime. È questo lo scenario criminale che i carabinieri di Catanzaro e Lamezia Terme, su disposizione della Direzione distrettuale antimafia guidata dal procuratore Nicola Gratteri, hanno ricostruito con l’operazione “Reventinum”, culminata nell’esecuzione di dodici provvedimenti di fermo per la faida tra le cosche Scalise e Mezzatesta. L’esito del blitz è stato illustrato in una conferenza stampa alla quale hanno partecipato, oltre a Gratteri, anche il comandante provinciale dell’Arma dei carabinieri di Catanzaro, il colonnello Marco Pecci, e il comandante provinciale del Reparto operativo, il tenente colonnello Giuseppe Carubia. Al centro delle indagini ci sono le dinamiche e le evoluzioni delle due cosche che, ha detto il procuratore Gratteri, “per anni hanno terrorizzato il circondario di Lamezia Terme”, un’area montana che comprende i comuni di Soveria Mannelli, Decollatura, Platania e Serrastretta. Secondo la ricostruzione degli investigatori, inizialmente le famiglie Scalise e Mezzatesta erano alleate e federate nel cosiddetto “gruppo storico della montagna”, che tuttavia ha incominciato a dissolversi nel momento in cui sono cresciuti gli interessi economici nella zona e gli appetiti dei clan. La scissione del gruppo si consumò con l’attentato subito, nel 2001, dal presunto capocosca Pino Scalise, di 60 anni. Dda quel giorno gli Scalise e i Mezzatesta entrarono in conflitto per il controllo del territorio e degli affari, che vanno dalle estorsioni al movimento terra e soprattutto all’industria boschiva e alla filiera del legno. Scoppiò una guerra che ha macchiato di sangue l’area del Reventino, raggiungendo il culmine negli anni tra il 2013 e il 2017, caratterizzati da sei omicidi: il duplice omicidio di Francesco Iannazzo e Giovanni Vescio a Decollatura il 19 gennaio 2013, seguito poi dagli omicidi di Daniele Scalise il 28 giugno 2014 a Soveria Mannelli, di Luigi Domenico Aiello a Soveria Mannelli il 21 dicembre 2014, dell’avvocato Francesco Pagliuso a Lamezia Terme il 9 agosto 2016 e di Gregorio Mezzatesta a Catanzaro il 24 giugno 2017. Eclatanti sono soprattutto questi ultimi due omicidi che, hanno spiegato gli investigatori in conferenza stampa, “sono maturati in questo contesto di contrapposizione tra le due consorterie”. Gratteri, in particolare, ha ricordato: “Abbiamo individuato gli esecutori materiali di questi due omicidi ma stiamo lavorando per individuare i mandanti, che per noi stanno attorno agli odierni indagati, perché non siamo appagati e non molliamo”. In ogni caso, l’operazione “Reventinum” aggiunge adesso, ha spiegato il comandante provinciale dei carabinieri di Catanzaro, Pecci, “un’ulteriore tessera alla mappa criminale di un’area ancora poco conosciuta ma sulla quale stiamo facendo piena luce”. Importanti, ai fini delle indagini, le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, che tuttavia, ha specificato ancora il comandante Pecci, “sono intervenuti a riscontro di un’investigazione già in corso, portata avanti con grande impegno e con metodi classici”. Fondamentale anche il buon esito delle perquisizioni disposte dagli inquirenti: a casa di una donna che aveva il ruolo di “portaordini” del clan Mezzatesta, i carabinieri hanno rivenuto anche 15mila euro sulla cui provenienza e destinazione sono in corso ulteriori accertamenti, mentre in un’altra perquisizione è stato rinvenuto un santino raffigurante la Madonna di Polsi, elemento significativo nella simbologia ‘ndranghetista del grado di pericolosità delle consorterie colpite dal blitz. A illustrare nel dettaglio alcuni reati contestati agli indagati è stato il tenente colonnello dei carabinieri Carubia, che ha citato, in particolare, il sequestro, ad opera del clan Scalise, dell’avvocato di Lamezia Terme, Francesco Pagliuso, ucciso due anni e mezzo fa, perché ritenuto responsabile di errori nella linea difensiva del clan; l’estorsione a un’impresa impegnata nella lavorazione del legno alla quale sono stati incendiati il capannone e alcuni mezzi meccanici per un danno quantificato in 150mila euro, e l’attività di “mutuo soccorso” che la cosca Scalise aveva messo in campo per il sostentamento della famiglia di un favoreggiatore della cosca finito in carcere. “Questa inchiesta – ha osservato infine Gratteri – è importante, perché presenta un alto livello probatorio, porta a un risultato che conferma che abbiamo avviato una macchina che si sta perfezionando sempre più e nessuno può più fermare, come stiamo dimostrando proprio nel circondario di Lamezia Terme, nel quale in questi ultimi due anni e mezzo abbiamo arrestato oltre 200 persone associazione mafiosa”.