Riace, ascesa e caduta di Mimmo Lucano

 

Riace borgo dista quasi sette chilometri dal mare. Dallo Jonio ci si arriva percorrendo una lingua d’asfalto in salita, spesso ‘bucata’ per la cattiva manutenzione a causa delle casse vuote del comune, e dalla mala amministrazione. Una sorte eguale, quella di Riace –  nel cui mare furono pescati i Bronzi adesso esposti nel Museo nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria – a quella di altri piccoli comuni calabresi, come Condofuri, S. Lorenzo, Palizzi, Badolato, le cui propaggini territoriali arrivano a lambire la battigia, sempre più falcidiati dall’abbandono dei residenti per mancanza di lavoro o dei servizi essenziali.
Domenico “Mimmo” Lucano, 64 anni, è stato sindaco del piccolo centro per ben tre volte, sconosciuto ai più fino al 1998, anno in cui circa duecento immigrati del Kurdistan, per sfuggire alla tenaglia di turchi e irakeni, stipati su una barca a vela, naufragano sulla costa riacese. E’ l’inizio del cosiddetto “modello Riace”. Mimmo Lucano, che da quel giorno sarà per tutti Mimmo “u curdu”, insieme ai pochi giovani ancora rimasti in paese, convince i proprietari delle case chiuse ormai da decenni per effetto dell’emigrazione, ad aprirle per ospitare i nuovi “dannati della Terra”.

Da lì è un crescendo di notorietà per il “curdo”, tanto che nel 2016 appare collocato al quarantesimo posto della classifica ‘Fortune’ delle persone più note del pianeta. Lucano riesce così a costruire un ‘modello’ di accoglienza e di integrazione noto in tutto il mondo, alternativo agli Sprar, e il piccolo comune jonico diventa così meta di numerose iniziative culturali internazionali. Lucano fa anche di più: per gli immigrati, che sempre più numerosi giungono a Riace, realizza la scuola, un laboratorio artigiano, ed organizza la raccolta dei rifiuti ‘porta a porta’ utilizzando gli asini, unico ‘mezzo di trasporto’ per potere muoversi tra le viuzze del borgo. Un ‘villaggio globale’ affascinante, dove non mancano però le voci critiche, e non solo da settori del centrodestra locale e nazionale, ma anche da gruppi di cittadini riacesi.
Partono così le prime indagini che sfociano con la notifica a Mimmo “u curdu”, nell’ottobre del 2018, di un’ordinanza di custodia cautelare del gip del Tribunale di Locri, su richiesta di quella Procura.

Domenico Lucano, finisce così ai domiciliari con pesanti ipotesi di reato – che gli costeranno una condanna in primo grado a tredici anni e due mesi di reclusione –  proprio su presunte illegittimità riscontrate nella gestione di fondi pubblici destinati ad alimentare il “modello Riace”, tra cui la celebrazione di matrimoni combinati tra abitanti di Riace e immigrati, con l’unico scopo – secondo l’accusa – di consentire agli interessati il diritto di permanenza in Italia.
“La vera utopia non e’ la caduta del Muro (di Berlino), ma quello che è stato realizzato in alcun paesi della Calabria, Riace in testa. Qui ho visto un mondo migliore’. Così il regista Wim Wenders definì l’esperienza riacese, a cui ha dedicato un cortometraggio, “Il Volo”, che ha come attori protagonisti gli immigrati e le loro storie. E’ l’avvio della fine del “modello Riace”, naufragato sotto le indagini della Guardia di Finanza e della Procura della Repubblica di Locri, anche per effetto di un modello amministrativo gestito da Lucano e dai suoi collaboratori, che ha instillato molti dubbi sul piano della gestione delle risorse pubbliche.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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