Rinvii a giudizio per “Catanzaropoli” e Multopoli”. Raimondi: “No al riduzionismo nelle udienze preliminari”

Sono trentatrè le persone rinviate a giudizio nell’ambito dell’indagine denominata “Multopoli” per i presunti illeciti legati all’annullamento di contravvenzioni per violazioni al Codice della strada emesse dalla polizia locale di Catanzaro. A processo sono rinviati, tra gli altri, il sindaco, Sergio Abramo, esponente di primo piano di Forza Italia, il comandante della polizia locale, Giuseppe Antonio Salerno, il suo vice, Salvatore Tarantino, e il consigliere regionale di Forza Italia Domenico Tallini, all’epoca dei fatti consigliere comunale nel capoluogo calabrese. I rinvii a giudizio sono stati emessi dal giudice per l’udienza preliminare Giovanna Gioia, con il sindaco Abramo e Tallini che dovranno rispondere dei reati di abuso d’ufficio. I guai giudiziari per i politici catanzaresi arrivano anche per un’altra inchiesta, denominata “Catanzaropoli”, per la quale è stato disposto il rinvio a giudizio per gli ex assessori della precedente legislatura guidata sempre da Sergio Abramo. In questo ambito i reati contestati, a vario titolo, sono quelli di peculato, truffa, abuso d’ufficio, turbata libertà degli incanti e falso. In riferimento al cosiddetto processo “Catanzaropoli” da registrare la dichiarazione dell’avvocato Nunzio Raimondi, difensore dell’ex assessore Stefania Lo Giudice. “Sono abituato a non commentare i provvedimenti emessi dai giudici ma, in questa circostanza, tengo eccezionalmente a precisare quanto segue: è mio convincimento che questo atto di impulso processuale – tale è il decreto dispositivo del giudizio e nient’altro, tampoco un’affermazione di responsabilità… – non doveva essere emesso nei riguardi della signora Stefania Lo Giudice. Per quel che conta -aggiunge l’avvocato Raimondi- confermo che dagli atti relativi a entrambi i procedimenti penali in questione emerge la sua completa estraneità alle accuse mosse dall’Ufficio di Procura. Già da tempo – spiega Raimondi – ho denunziato pubblicamente, in convegni e scritti, la difficoltà nella quale molti di noi difensori tecnici, oltreché appassionati scrutatori della realtà del fatto e dell’uomo, veniamo a trovarci di fronte ad un certo modo, per così dire riduzionista, di considerare il filtro dell’udienza preliminare. All’esito di due processi nei quali si è proceduto, per così dire, a un “rinvio a giudizio in massa”, desidero, qui ed ora, confermare che tale modo di intendere ed interpretare l’udienza preliminare, pur nel pieno rispetto della decisione assunta nella specie dal giudicante – che personalmente stimo –, non è costituzionalmente orientato, poiché la posizione dell’imputato nell’udienza preliminare, secondo l’insegnamento della Sovrana Corte, merita il medesimo dettagliato scrutinio (sia pure con parametri differenti di valutazione) assicurato all’imputato nel rito abbreviato, il quale, come è noto, obbliga il giudice dell’udienza preliminare a scrivere una sentenza, piuttosto che compilare un decreto. E tali parametri non possono essere pretermessi se non si vuol produrre un inevitabile (e forse inutile) aggravio di lavoro per i giudici del dibattimento (a mio modo di vedere causa principale della lentezza nella trattazione dei processi) e un supplemento – spesso non breve – di sofferenza (il processo è già una pena..) per l’imputato”.