XXI Festival d’Autunno, un sabato intenso dedicato all’arte serica da Catanzaro alla Cina di Marco Polo e Hao Dong e a Turandot

XXI Festival d’Autunno, un sabato intenso dedicato all’arte serica da Catanzaro alla Cina di Marco Polo e Hao Dong e a Turandot

 

 

CATANZARO/ I meravigliosi damaschi stesi ai finestroni dell’Oratorio del Carmine sono stati il simbolo con cui si è aperta sabato scorso la giornata dedicata alla seta nel lungo weekend di inaugurazione del ventunesimo Festival d’autunno. Il primo fine settimana della programmazione ha voluto omaggiare infatti il grande compositore toscano Giacomo Puccini, di cui ricorrono i cento anni dalla morte, e per intrecciare la sua commemorazione alla storia della città di Catanzaro, «ho pensato di esplorare quella “via della seta” che legava l’Italia e nel nostro caso Catanzaro alla Cina di Marco Polo prima e di Turandot dopo – ha detto il direttore artistico del Festival, Antonietta Santacroce – Non a caso per il suo primo allestimento nel 1926, l’ultima opera composta da Puccini poté contare su costumi interamente realizzati in seta, quei Pekin oggetto della conferenza tenuta per noi da Oreste Sergi».

“I Pekin e la via della seta a Catanzaro”. Il “sabato della seta”, come è stato ribattezzato, è iniziato infatti al mattino proprio con l’attività serica, nei secoli diventata un simbolo identitario della cultura cittadina, e che è stata al centro dell’incontro dello studioso Oreste Sergi Pirrò, dal titolo “I Pekin e la via della seta a Catanzaro”. In un Oratorio del Carmine pieno di spettatori circondati da i damaschi appesi, a ricordare l’antica usanza dell’ostentazione delle preziose coperte durante le processioni, dimostrazione della ricchezza della dote delle donne nobili, Sergi Pirrò ha raccontato, e documentato soprattutto, la storia e le varie tipologie di tessuto, inclusi i velluti, di cui sono rimaste tracce, custodite gelosamente nelle sagrestie delle chiese. Di seta erano infatti i paramenti sacri, utilizzati nelle funzioni e custoditi ancora oggi nelle chiese e nelle collezioni museali calabresi. Il relatore si è quindi soffermato in special modo sui Pekin, tessuti molto particolari caratterizzati da «una tecnica unica per rendere la stoffa elegante, raffinata» – con disegni che procedevano a strisce, arrivando a delle vere e proprie righe, decorati con motivi floreali o comunque orientaleggianti – con il riferimento a Pechino già nel nome -, che andavano di moda nella seconda metà del Settecento, e che la nostra Città ha avuto il vanto di produrre ed esportare soprattutto in tutto il Regno di Napoli, nelle Puglie in particolar modo. L’antica manifattura catanzarese – che affonda le sue radici nel periodo bizantino e deve il perfezionamento della sua lavorazione e tintura agli ebrei al tempo dei Normanni -, così come quella di altre importanti città quali Firenze, Lucca e Venezia, fu costretta a soccombere con l’industrializzazione che concentrò la produzione a San Leucio dalle nostre parti, e a Como, a livello nazionale, mentre solo la famiglia De Siena riuscì ad operare a Catanzaro fino alla seconda guerra mondiale.

“My journey to Beijing”. Il percorso ideale tracciato dal Festival d’autunno della “via della seta” catanzarese si è snodato nell’antico quartiere della Grecìa che ospita l’Oratorio, il Teatro Politeama, e Palazzo De Nobili, location dei 3 eventi di questo sabato particolare che ha offerto al pubblico anche la prima nazionale di “My journey to Beijing. La storia d’amore tra Marco Polo e Hao Dong”. Un’opera musicale originale sulla tormentata relazione tra il mercante di seta ed esploratore veneziano e la principessa figlia di Kublai Khan, contrastata dalla famiglia italiana che spinse la nobile cinese al suicidio. Prodotta dal Festival d’autunno, che l’ha volutamente commissionata in occasione della ricorrenza dei 700 anni dalla morte di Marco Polo, con Alessandro Meacci al pianoforte e musica elettronica, Erica Salbego come voce narrante e la danzatrice Diana Neumann, l’opera si è mossa seguendo il canone del teatro nel teatro: Salbego, che ha scritto i testi e curato la regia, con piccoli accorgimenti anche nei costumi che rievocavano l’Oriente e l’utilizzo di alcune campane tibetane, ha raccontato la difficile messa in scena del copione che «fa male, lascia un senso di vuoto e ingiustizia che non è facile gestire», ha detto, poiché in realtà racconta tutte le donne che nei secoli e purtroppo anche oggi sono vittime di ingiustizie e soprusi, rivelando al pubblico un testo che parte da un’epoca lontana ma si contestualizza tragicamente nell’attualità del nostri giorni. La bella Dong infatti seguì l’esploratore dal suo arrivo in Cina, fino alla sofferta esistenza veneziana, sola con il suo amore. Con sonorità e melodie orientaleggianti, che ricordavano quella Via della seta di cui si parlava e quindi non solo di ispirazione cinese, la musica interpretata da Meacci è stata un insieme di composizioni nuove, citazioni e omaggi a tutto il ‘900, eseguite al pianoforte e live electronics. A completare la magia della rappresentazione, tra musiche e testi raffinati, suadenti e nostalgici ci ha pensato la ballerina Diana Neumann, di una eleganza e bellezza uniche, che con leggiadria ha volteggiato e danzato, enfatizzando ancor di più note e parole.

Turandot e la matinée per le scuole. In serata, infine, l’apice del primo fine settimana del Festival d’autunno 2024, con la tanto attesa Turandot in scena al Teatro Politeama. L’imponente messa in scena, con ben 150 artisti coinvolti, nata dalla coproduzione del Festival d’autunno con il Festival Teatri di Pietra ha ottenuto un ampio riscontro di critica e pubblico, salutando il ritorno della lirica in città con un bellissimo e meritato sold out. L’entusiasmo degli spettatori si è tradotto in lunghissimi applausi e una standing ovation per il cast completo – all’indirizzo soprattutto di Chrystelle Di Marco nei panni di Turandot, Eduardo Sandoval in quelli di Calaf e Leonora Ilieva nella parte di Liù -, oltre che per l’Orchestra Filarmonica della Calabria diretta da Filippo Arlia e il Coro lirico siciliano diretto da Francesco Costa. Mise en espace di Salvo Dolce. Poiché da sempre il Festival persegue la disseminazione culturale tra i giovani, il giorno precedente, venerdì 4, Turandot era stata al centro di una matinée per i ragazzi delle scuole cittadine e non. Agli studenti, per avvicinarli alla lirica, a loro quasi sconosciuta, è stata dedicata la prova generale durante la quale il direttore Santacroce e il regista Dolce hanno raccontato ai ragazzi presenti – per tutti era la prima volta -, cos’è l’opera, cosa ha rappresentato Puccini nel melodramma italiano, la trama di Turandot, presentando i vari ruoli uno ad uno, ma anche il dietro le quinte e quindi come si costruiscono i personaggi con trucco e parrucco direttamente sul palco, come si accorda l’orchestra, come riscaldano la voce i cantanti e il coro, e i movimenti di scena. La risposta entusiasta, ma soprattutto l’attenzione massima con cui tutti i presenti hanno seguito poi l’intera mise en espace ha confermato quanto la scelta sia stata azzeccata e certamente da ripetere.

Il Festival d’autunno, sostenuto da Regione Calabria/Calabria Straordinaria, attraverso i fondi Pac 2014/20; dalla Camera di Commercio di Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia, dal Comune di Catanzaro, da Fondazione Carical oltre che da vari Enti privati, prosegue venerdì 11 ottobre, quando al Teatro Politema ci sarà la prima nazionale di “Timba Jazz“, il nuovo progetto di Aymée Nuviola. Sabato 12 ci sarà invece l’ omaggio a “Chick Corea: a Spanish heart” al Complesso San Giovanni, mentre alle ore 21 al Politeama andrà in scena “Mater” con Trilok Gurtu, Omar Sosa e Maria Pia De Vito.

 

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