Due ergastoli, nell’ambito del processo “‘Ndrangheta stragista”, per l’omicidio dei brigadieri dei varabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo uccisi nei pressi dello svincolo di Scilla dell’allora auatostrada A3 Salerno-Reggio Calabria (oggi A2), il 18 gennaio 1994, e per altri reati.
La Corte d’Assise di Reggio Calabria, presieduta da Ornella Pastore, ha condannato il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, e Rocco Santo Filippone, che per la Dda è espressione della potente cosca Piromalli di Gioia Tauro. Per Filippone oltre all’ergastolo anche 18 anni di reclusione per un altro capo di imputazione, l’accusa aveva invocato 24 anni di carcere.
Si conclude così il processo “‘Ndrangheta stragista” che ha fatto luce sui tre attentati ai carabinieri avvenuti nella provincia di Reggio Calabria nel 1993 e nel 1994 in cui morirono i brigadieri Fava e Garofalo e rimasero feriti altri 4 militari e soprattutto, secondo l’ipotesi accusatoria, sulla partecipazione della ‘ndrangheta, su richiesta della mafia siciliana, alla stagione degli attentati continentali contro lo Stato.
Lo chiamano “madre natura” Giuseppe Graviano, boss del quartiere Brancaccio di Palermo. Totò Riina – u curtu – decideva chi doveva morire, e il boss di Brancaccio, dai primi anni Novanta in poi è stato il “braccio armato” dei Corleonesi.
E’ il capo del mandamento di Brancaccio e ritenuto il mandante – con altri – delle stragi del 1992 contro i giudici Falcone e Borsellino – e del 1993 in Continente.
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