“Possiamo camminare in una vita nuova”. Lo scrive monsignor Francesco Savino, Vescovo di Cassano allo Ionio, nella sua “lettera ai politici”, riproponendo le parole dell’apostolo Paolo in occasione della Santa Pasqua. “Siamo in una terra dove regna l’innovazione immobilista che blocca il nuovo di cui saremmo capaci: arrivano continuamente novità riguardanti il modo di vivere, – scrive il presule – standard importati o copiati, mode più o meno direttamente imposte dai mercati, ma il nuovo resta bloccato, perché nemmeno tentato”. “Cari politici, lasciamo che la Risurrezione ci scuota dall’immobilismo e riprendiamo a camminare insieme. Quante volte nella politica come nel sociale, davanti ad un progetto appena abbozzato, si scatenano divisioni, particolarismi, e personalismi, veri alleati dell’immobilismo? Essi – si legge ancora – sono forme occulte di un peccato che potrei definire “dell’immobilismo colpevole”. Il Signore risorto ci prende per mano e ci fa camminare insieme in una vita nuova”. Una vita nuova è necessario “oggi più che mai – scrive il vescovo – dal momento che l’accumulazione e la concentrazione del capitale a livello mondiale e il peggioramento complessivo delle condizioni dei lavoratori manifestano il prevalere della finanza sulla persona. Cresce la paura, le persone si sentono insicure, aumenta la richiesta di protezione, la legalità viene invocata ma spesso disattesa. In questa “quarta rivoluzione industriale” – scrive monsignor Savino – gli esseri umani, sempre connessi, assumono comportamenti improntati all’odio e al rancore tra ritmi frenetici di vita e di lavoro, imposti dall’accelerazione dei calcoli logico-matematici dei tanti dispositivi elettronici e dei nuovi robot. I “mostri” di cui parlava Antonio Gramsci, sono tra noi all’opera: sono quelle strutture figlie di un cieco egoismo – si legge nella lettera – che genera miseria, povertà e morte per i più e benessere solo per pochi. Carissime donne e carissimi uomini impegnati nelle istituzioni politiche, vi chiedo di dare tempo al tempo – conclude il presule – di agire in modo locale pensando in modo globale, di lavorare nella prospettiva del futuro e della speranza”.