“L’occhio bionico” dei Piromalli sottoponeva le attività commerciali di Gioia Tauro a un controllo soffocante, con i negozianti costretti a pagare il “pizzo” nelle modalità più fantasiose, anche infilando i soldi nei panini. È quanto emerge dall’operazione “Geolja” dei carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria che hanno eseguito 12 misure cautelari. Associazione per delinquere di stampo mafioso, trasferimento fraudolento di valori e illecita concorrenza con minaccia o violenza con l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso i reati contestati a vario titolo alle persone coinvolte. Ventuno in totale gli indagati, tutti originari della Provincia di Reggio Calabria.
Le indagini hanno colpito la cosca Piromalli di Gioia Tauro, ma anche alcuni esponenti della cosca Pesce di Rosarno. L’operazione è stata denominata «Geolja», dal nome del primo nucleo abitativo sorto in epoca medievale attorno al quale successivamente si è esteso l’agglomerato urbano dell’odierno centro di Gioia Tauro. L’operazione è frutto di indagini condotte dai militari dell’Arma nel periodo compreso tra il mese di agosto 2018 e il mese di maggio 2020, supportate dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.
La genesi dell’inchiesta è legata all’incendio di un panificio nel comune di Gioia Tauro, avvenuto nel mese di agosto 2018, quando ai ignoti, dopo aver manomesso l’impianto di videosorveglianza di un bar limitrofo, si erano introdotti nel retro del locale appiccando le fiamme propogatesi in diverse aree dell’esercizio commerciale, inclusi il punto vendita e i laboratori, nonché parte del deposito attiguo. Solo l’intervento dei Vigili del Fuoco di Palmi e del personale della Compagnia Carabinieri di Gioia Tauro aveva evitato ulteriori conseguenze. A seguito del danneggiamento, gli inquirenti hanno scoperto un complesso contesto delinquenziale nel quale i vari esercizi commerciali venivano ciclicamente taglieggiati e controllati, dalle consorterie mafiose locali, nelle loro scelte di dettaglio e nelle strategie imprenditoriali. Le cosche di ‘ndrangheta, in virtù della forza intimidatrice derivante dalla loro appartenenza al vincolo associativo, mettevano in atto un vero e proprio controllo del territorio e delle attività commerciali locali, mediante riscossione di somme di denaro, beni e altri prodotti a titolo estorsivo. Pertanto, i commercianti dovevano sottostare alle loro regole e adeguarsi ai prezzi imposti, ai periodi e alla lunghezza delle ferie, che dovevano essere concordate con le attività commerciali limitrofe. Una vera e propria morsa che attanagliava i vari esercizi commerciali, al punto da costringere i piccoli imprenditori a voler fuggire dalla realtà locale per cercare fortuna altrove, specialmente verso il Nord Italia. I commercianti di Gioia Tauro erano passati ai “raggi X”, al punto che alcuni di loro hanno definito uno dei membri della consorteria mafiosa come “l’occhio bionico” del clan.
Il pagamento del pizzo garantiva la copertura idonea alle aziende: una protezione mafiosa per cui le imprese venivano in un certo senso “regolarizzate” ed autorizzate ad esercitare l’attività commerciale. Alcuni episodi di taglieggiamento sono apparsi singolari nella loro attuazione pratica, come l’estorsione posta in essere sotto forma di vendita di blocchetti di biglietti per una presunta lotteria per le festività pasquali, dal cui acquisto i commercianti non si potevano esimere per timore di eventuali ritorsioni mafiose, così come il pagamento di una tranche estorsiva, effettuata con la consegna a uno degli esponenti della cosca Piromalli di 500 euro nascosti all’interno di un panino.
Gli inquirenti: “Dalle indagini è emerso uno spaccato inquietante”
“Quanto emerge dall’inchiesta è uno spaccato inquietante”. Così il Procuratore distrettuale di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, ha definito l’ennesima operazione condotta dai carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria, guidati dal colonnello Marco Guerrini, su dodici persone ritenute affiliate alle cosche Piromalli-Molè, tra loro legate anche da vincoli di parentela.
Il gip Valerio Trovato, su richiesta degli Aggiunti Gaetano Paci e Giulia Pantano, ha condiviso il lavoro investigativo, ordinando così il loro arresto con l’accusa di associazione di stampo mafioso, trasferimento fraudolento di valori, concorrenza illecita con l’aggravante del metodo mafioso.
Gli arrestati, Salvatore, Francesco e Domenico Copelli; Antonio Gerace, Domenico Ragno, Domenico e Vincenzo La Rosa; Antonino Plateroti, Rocco Molè, Rocco Giovinazzo e Giuseppe Pesce, sono elementi di primo piano della ndrangheta di Gioia Tauro e di Rosarno, attenzionati da tempo dalle forze dell’ordine. “Lo spunto investigativo – affermano gli inquirenti – è stato offerto dall’incendio doloso di un panificio a Gioia Tauro nell’agosto del 2018, quando ignoti, dopo avere manomesso l’impianto di video sorveglianza di un bar ubicato nei pressi della panetteria danneggiata, erano riusciti ad entrare dei locali della struttura commerciale presa di mira appiccando il fuoco, con gravissimi danni”. Da quell’episodio, i carabinieri dello speciale gruppo di stanza a Gioia Tauro, coordinati dal col. Guerrini, hanno ricostruito il sistema di ‘tosatura’ posto in essere dagli odierni indagati nei confronti di numerosi esercizi commerciali di Gioia Tauro, fino a condizionarne persino le scelte imprenditoriali, come le forniture della materia prima.
“In virtù della forza intimidatrice scaturita dall’appartenenza alla ndrangheta – affermano gli inquirenti – gli operatori presi di mira erano costretti a versare ciclicamente somme di denaro, beni e quanto loro richiesto a titolo estorsivo, tanto da indurre alcuni dei taglieggiati a chiudere l’attività per trasferirsi al nord Italia per potere continuare a vivere, perché continuamente spiati nella loro attività”. Gli indagati, per dissimulare la loro ‘protezione’, imponevano agli operatori commerciali, in occasione delle festività, persino l’acquisto di biglietti per una presunta lotteria, richiesta a cui nessuno osava ribellarsi. “Un contesto – affermano i magistrati – in cui era di fatto azzerata la libera concorrenza economica e tutto il territorio risulta suddiviso come sfera di influenza criminale tra le singole ‘famiglie’ mafiose, uno scenario peraltro confermato dalle numerose dichiarazioni di collaboratori di giustizia”.