“Vicinanza e massima solidarietà” dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dall’intero Csm al procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, dopo le notizie di stampa inerenti un piano della ‘ndrangheta diretto a uccidere il figlio del magistrato. E’ stato stamani, in apertura di plenum, il vicepresidente del Csm David Ermini a affrontare l’argomento: “vorrei aprire il plenum odierno – ha detto Ermini – la prima occasione pubblica immediatamente successiva alla diffusione delle notizie di stampa relative al proposito criminoso diretto a uccidere il figlio del procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, esprimendogli a nome del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che mi ha espressamente incaricato, a nome mio e dell’intero Consiglio piena vicinanza e massima solidarietà, ribadendo con forza – ha sottolineato – la responsabilità e il forte impegno di tutte le istituzioni nella lotta alle mafie e nell’assicurare protezione ai magistrati, alle loro famiglie e a tutti coloro che combattono ogni giorno per liberare la società dalle organizzazioni criminali di ogni genere”. Il togato indipendente Nino Di Matteo, intervenendo in plenum, ha espresso apprezzamento per l’intervento di solidarietà al procuratore di Catanzaro, da parte del vicepresidente Ermini “ed ancora di più la presa di posizione esplicita del presidente della Repubblica che ha voluto manifestare, suo tramite, la solidarietà e la vicinanza ad un magistrato minacciato nei suo affetti familiari”. E’ la seconda volta che il presidente della Repubblica incarica il vicepresidente di formulare in plenum la propria solidarietà: la prima volta fu quando, il 7 luglio scorso, espresse “affettuosa vicinanza” nei confronti proprio di Di Matteo e “il forte impegno, da parte di tutte le istituzioni, nel contrasto della criminalità organizzata e la più ferma determinazione nel proteggere magistrati, forze dell’ordine e tutti coloro che sono esposti per l’azione coraggiosa contro la criminalità e le mafie”. Nel suo intervento in plenum, Di Matteo ha inoltre sottolineato come “sia doverosa una riflessione su tutti i magistrati esposti a gravosi impegni e rischi che finiscono per coinvolgere anche i loro familiari” ed ha poi voluto ricordare la ricorrenza dell’uccisione di Rosario Livatino, assassinato il 21 settembre 1990, e di Antonino Saetta: “Entrambi i colleghi di Canicattì, vennero uccisi mentre svolgevano le funzioni di giudice; è doveroso ricordare questi colleghi che continueranno a costituire un esempio per le nuove generazioni”, ha detto. Anche il togato di Magistratura Indipendente Antonio D’Amato ha espresso il proprio apprezzamento per l’intervento di solidarietà al procuratore Gratteri. E come il collega Di Matteo, ha voluto ricordare le figure dei magistrati uccisi dalle mafie per il loro impegno nel contrastarle, tra cui quella di Cesare Terranova, assassinato il 25 settembre 1979. Ricordando poi Livatino e la sua beatificazione “avvenuta in un momento di crisi acuta della magistratura, di appannamento della sua immagine e della sua credibilità”, il togato di MI ha sollecitato una riflessione su un modello di magistrato in antitesi con “il sistema Palamara”, e rilevato l’importanza di continuare “a tenere vivo il ricordo di questi tributi di sangue pagati dalla nostra magistratura”. Infine, D’Amato ha voluto esprimere “vicinanza a tutti i magistrati che giorno per giorno, tra immense difficoltà, pericoli e incomprensioni, assolvono al loro compito di amministrare la giustizia con fermezza, coraggio e dignità”.
Confermato in aula dal pentito Antonio Cataldo il progetto di uccidere il figlio di Gratteri
“Ritengo di essere in pericolo, per cui temo per la mia vita: ecco perché ho deciso di collaborare con la giustizia”. A sostenerlo, in Tribunale a Locri, nel corso del maxiprocesso “Riscatto-Mille e una notte” è stato il neo-pentito, Antonio Cataldo, di 57 anni, di Locri, affiliato di rango dello storico e omonimo casato malavitoso locrese per molti anni in contrapposizione con la potente e ramificata cosca Cordì. Quella di oggi è la prima deposizione pubblica che Cataldo fa a seguito della sua decisione, maturata agli inizi del giugno scorso, di intraprendere il percorso di collaborazione con la giustizia. Il 57enne è il primo collaboratore di giustizia della nota e storica famiglia “Cataldo” di Locri, uno dei clan più importanti nel panorama criminale della ‘ndrangheta. In una delle due lunghe deposizioni rese ai magistrati antimafia della Dda di Reggio Calabria il 20 e il 28 luglio scorsi, Cataldo ha anche riferito -confermando il tutto anche oggi nel corso del processo “Riscatto-Mille e una notte”- che nel 2013, mentre si trovava in carcere, un altro detenuto di Locri gli ha riferito “di un progetto criminoso finalizzato a compiere un attentato ai danni del figlio del dottore Nicola Gratteri che in quel periodo era stato proposto come ministro della Giustizia”. Durante il processo, rispondendo a precise domande che gli sono state poste dal sostituto procuratore Giovanni Calamita, della Procura antimafia reggina, Cataldo ha dichiarato di essere stato “battezzato” tra il 1984 e l’85 in una zona di campagna situata vicina l’ospedale di Locri e in presenza di figure apicali del clan locrese. Lo stesso neo-collaboratore di giustizia ha poi riferito di aver commesso dei reati relativi al narcotraffico, evidenziando i rapporti intrattenuti personalmente con alcune figure di primo piano di un clan di Africo e di Platì.