Da sette anni Antonino ‘Nino’ Bartuccio, 54 anni, testimone di giustizia, ex sindaco di Rizziconi, un comune attaccato a Gioia Tauro, poco più di 7500 anime, commercialista e docente di discipline giuridico-economiche nelle scuole medie superiori, è costretto con la sua famiglia a vivere sotto scorta. E’ nel mirino di uno dei clan più potenti della ‘ndrangheta, quello dei Crea, suoi compaesani, molti dei quali adesso arrestati e finiti sotto processo per gravissimi reati. I Crea, secondo gli inquirenti, sono ormai una delle ‘famiglie di ndrangheta’ tra le più temute di tutta la Calabria. Attraverso alcuni matrimoni hanno stretto alleanze con i potenti Alvaro di Sinopoli e con i Brandimarte di Gioia Tauro, una ‘famiglia’, quest’ultima, in rapida ascesa criminale, fino a dominare persino i traffici di cocaina che hanno al centro il grande porto, nonostante i Piromalli. Bartuccio, secondo gli inquirenti, sarebbe stato al centro di un complotto finalizzato a ucciderlo con un bazooka. La sua colpa è aver sottratto al clan appalti e affari.
“Se dovessi fissare una data della mia scelta di candidarmi a sindaco di Rizziconi – racconta – quella giusta è il 5 dicembre del 2009. Quella notte fu assassinato un ragazzo di appena diciotto anni – si chiamava Francesco Inzitari – raggiunto da numerosi colpi di pistola al viso per motivi di vendetta. Francesco era figlio di Pasqualino Inzitari, un amico e un imprenditore tra i più noti in Calabria nel settore della grande distribuzione, un omicidio eseguito con crudele modalità, che ha pesato e tutt’ora pesa sulla coscienza dei rizziconesi”.
Un fatto di sangue che ha segnato uno spartiacque.
“Rizziconi – risponde Bartuccio – come il resto dei centri della Piana di Gioia Tauro, ha conosciuto sempre una forte presenza della ‘ndrangheta, tant’è che prima della mia esperienza di sindaco, l’amministrazione era stata sciolta ben due volte per infiltrazione mafiosa. Ma la tragica fine di Francesco Inzitari interpellò le nostre coscienze. Ricordo che anche i miei figli, Adriana e Francesco, raccontarono che i loro maestri informarono gli alunni di quella morte assurda e inaccettabile dicendo che ‘Francesco era volato in cielo perché era troppo buono e Dio lo aveva voluto presto con se’”.
“Tornando a casa – dice l’ex sindaco – mio figlio Francesco, che aveva appena nove anni, chiese a me e a mia moglie Maria Grazia, di volere andare a casa di Pasquale Inzitari, di partecipare al loro lutto. Una richiesta che ci colse di sorpresa, ma decidemmo comunque di condividerla. Ricordo che mi recai nell’abitazione di Inzitari per avvisare dell’imminente nostra visita con i nostri figli e Pasquale, nonostante il momento così devastante, trovò la forza di ricomporsi accogliendo con tenerezza il mio Francesco”.
Iniziò così l’impegno di Bartuccio nelle istituzioni locali. “Certamente – sottolinea – è stato l’elemento determinante, ma in tanti ormai a Rizziconi eravamo stanchi di vedere il paese asservito agli interessi di pochi, mentre il degrado ormai galoppava insieme alla progressiva perdita di senso civico”.
L’ex sindaco si era già impegnato in politica prima di decidere di candidarsi nel 2010.
“Sono stato – racconta – uno dei fondatori del circolo ‘Forza Silvio’ a Rizziconi, convinto, io e altri amici della bontà della ‘rivoluzione liberale’ professata dal presidente Berlusconi. E’ con questo spirito che decidemmo di preparare la lista civica ‘Autonomia e legalità’ in vista delle elezioni comunali del 2010”. Una scelta non facile. “Sin dal momento della raccolta delle firme – spiega – ricevemmo consigli, anche da parenti, di desistere dal nostro impegno all’insegna del “chi te lo fa fare”, ma riuscimmo comunque, dopo ricorsi e controricorsi al Tar, a ufficializzare il nostro schieramento civico. E fu un quasi trionfo, un consenso elettorale di circa quattromila voti, un segnale che i rizziconesi era stanchi di quell’andazzo amministrativo, caotico e clientelare”.
I guai non si fecero attendere. “Appena proclamato sindaco – racconta – dal giorno successivo ho iniziato ad arrivare nella sede comunale molto presto e talvolta ero io stesso ad aprire il portone principale perché le cose da fare, gli arretrati erano talmente tanti, come i bisogni della popolazione, che il tempo non bastava mai. Una di quelle mattine arrivo leggermente in ritardo e noto un cittadino in attesa all’ufficio anagrafe di ottenere un certificato. Lo saluto e raggiungo la mia stanza. Dopo circa mezz’ora sento bussare alla porta, apro e mi ritrovo davanti quel cittadino che avevo visto prima in attesa”.