Il 2023 si chiude con un’economia meridionale contraddistinta da segnali congiunturali positivi e una generale tenuta delle imprese. Il tutto lascia presagire un 2024 con un pil nel Mezzogiorno in crescita dello 0,6%, ma con un’occupazione che continua a mostrare tassi inferiori al resto del Paese, in particolare per quella femminile. E’ l’analisi congiunturale annuale di Confindustria e Srm, il centro di studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo, secondo cui l’indice sintetico dell’economia meridionale per il 2023 cresce per il terzo anno consecutivo e sale di 8,8 punti. Molto positiva la stima sul dato relativo agli investimenti: +4 punti percentuali rispetto al 2022 e 17 rispetto al 2019, “a conferma di una dinamica che va però sicuramente rafforzata”. Particolarmente significativo il contributo dell’export, +40 punti sul 2019. Nel 2024 la stima di crescita del Pil nel Mezzogiorno si attesta a +0,6% . Sull’economia del Sud nel prossimo anno “influirà in modo considerevole l’effettiva “messa a terra” delle risorse disponibili, in primis quelle legate al Pnrr”, mentre l’occupazione registrata nel terzo trimestre aumenta del 4% rispetto allo scorso anno, con un incremento per il Sud maggiore; ma all’aumento degli occupati non corrisponde un significativo progresso in termini assoluti se i dati sono rapportati alla quota di chi vive al Sud. Lo studio indica almeno tre grandi fattori di sviluppo del Mezzogiorno. Si tratta delle cosiddette “3C”: Competenze (dalla formazione all’innovazione), Connettività (attraverso adeguate infrastrutture di connessione stradale, ferroviaria, portuale e aerea, ma anche e soprattutto digitale e tecnologica) e Competitività delle imprese (anzitutto in termini di densità e intensità imprenditoriale). Serve quindi, secondo la raccomandazione che arriva dal mondo industriale, una politica industriale che, sfruttando le ingenti risorse a disposizione – europee e nazionali – possa creare un ambiente favorevole alla crescita di territori e imprese del Mezzogiorno e, al contempo, ne valorizzi le potenzialità produttive. In questo contesto, un ruolo centrale sarà giocato appunto dal Pnrr, di cui l’Italia ha già ricevuto il pagamento di quattro rate per oltre 100 miliardi di fondi, la cui rimodulazione rappresenta una notizia molto attesa. Dei circa 14 miliardi di nuove misure e risorse aggiuntive del Piano, circa 12 sono destinati alle imprese: 6,3 miliardi per Transizione 5.0, 2,5 per filiere green e net zero technologies, 2 per i contratti di sviluppo della filiera agroalimentare, 852 milioni per i parchi agrisolari, 320 milioni per il sostegno a investimenti green e 50 milioni per le materie prime critiche. Segnali positivi di attenzione al sistema produttivo, viene sottolineato, che però dovranno essere declinati garantendo il rispetto della vocazione originaria del Piano, cioè lavorare sulla riduzione dei divari. In questo senso, sarà importante il rispetto della clausola di destinazione al Mezzogiorno del 40% delle risorse allocabili territorialmente. Sempre sul fronte delle policy e delle risorse, importanti novità sono attese dalla nuova Zona Economica Speciale (Zes) Unica per il Mezzogiorno e dalla revisione del Fondo Sviluppo e Coesione (Fsc), entrambe oggetto del DL Sud. La ZES Unica può rappresentare una grande potenzialità per il Sud ma rendere tutto il Mezzogiorno una Zona Economica Speciale è un progetto ambizioso, che però necessita di essere sorretto da un disegno strategico di medio periodo. Recenti misure dedicate al Sud intervengono anch e sulla politica di coesione nazionale, generando delle modifiche all’operatività e alla governance del Fondo Sviluppo e Coesione, per migliorarne le performance di spesa. Sarà importante non snaturare il Fondo, preservandone le caratteristiche di addizionalità e allocazione territoriale, che destina l’80% delle risorse al Sud.