Lavori socialmente utili non retribuiti per i richiedenti asilo, rimpatrio per chi non ha diritto a stare in Italia. Si muove sulla doppia linea severità con gli irregolari/accoglienza con i regolari la strategia sui migranti illustrata oggi dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, in audizione alle commissioni congiunte Affari costituzionali di Camera e Senato. Una strategia che deve coinvolgere la Libia, “da dove quest’anno parte quasi il 100% delle persone che sbarcano in Italia”, gli altri Paesi africani e l’Europa, che finora non ha risposto alla sfida della relocation: solo 3.200 i profughi trasferiti finora. Non è escluso che il pacchetto immigrazione, così come quello sulla sicurezza urbana, sia portato al Consiglio dei ministri di venerdì prossimo. Accoglienza diffusa, nuovi Centri per il rimpatrio e lavori per i richiedenti asilo i capisaldi del provvedimento. Minniti ha sottolineato che il tempo medio di risposta alla domanda d’asilo è di due anni. Troppi, “sia per i diritti dei richiedenti che per le comunità”. Bisogna quindi intervenire per accorciarli ed “evitare il vuoto dell’attesa”, ha sostenuto il titolare del Viminale, aggiungendo che si deve “lavorare con i Comuni per utilizzare i richiedenti asilo in lavori di pubblica utilità, finanziati con fondi europei. L’impegno è quello di non creare duplicazioni e concorrenza con il mercato del lavoro, dato che si tratta di lavori non retribuiti”. Già una circolare del ministero del 2014 andava in questa direzione e diversi Comuni si sono attivati per far lavorare i richiedenti asilo. A Fiumicino (Roma) pochi giorni fa, ad esempio, è partito un progetto di prefettura e Comune per far svolgere agli ospiti di un centro d’accoglienza lavori di pulitura della zona del faro. Per gli irregolari la strada da seguire è quella del rimpatrio. “Non mi accontento del foglio di via”, ha detto il ministro. “In condizioni di civiltà e rispetto, chi non ha diritto a restare deve esser riportato nel paese di provenienza”. Di qui la creazione di nuove strutture “che non c’entrano nulla con i vecchi Cie”, ha tenuto a precisare Minniti. Si chiameranno Centri permanenti per il rimpatrio, uno per regione, per un totale di 1.600 posti. Si tratterà di strutture “di piccole dimensioni, preferibilmente fuori da centri urbani, vicini a infrastrutture di trasporto, con governance trasparente e poteri di accesso illimitato per il Garante dei detenuti”. Accanto alla gestione dei migranti che arrivano, il Governo lavora a bloccare le partenze dalla Libia (già diecimila sono sbarcati nel 2017). In questa direzione va l’accordo sottoscritto la settimana scorsa da Gentiloni e Serraj, “Un passo”, l’ha definito Minniti invitando a mettere da parte i facili entusiasmi. “Ora la sfida è la sua applicazione”. Ed anche l’Europa deve fare la sua parte, sostenendo l’accordo e sbloccando i ricollocamenti. “C’erano da trasferire – ha ricordato – 40 mila richiedenti asilo in due anni, ad oggi ne sono stati ricollocati solo 3.200. C’e’ un’evidente indisponibilità ad accoglierli”. In un periodo in cui aumenta la minaccia terroristica dell’Isis, sempre più imprevedibile e con la “diaspora del ritorno” e “l’auto-innesco di atti individuali” come pericoli principali, il ministro ha invitato a diffidare dell’equazione immigrazione uguale terrorismo. “E’ sbagliata e fuorviante, ma – ha evidenziato – è vero invece che c’è un rapporto tra la mancata integrazione ed il terrorismo, come abbiamo visto nei recenti attentati in Europa. Ecco perchè il concetto di fondo deve essere: severità con chi non rispetta le regole ed accoglienza per chi le rispetta”.