Dall’accoglienza ai migranti alla fornitura di vino e preparati per la pizza a ristoranti in Germania, dal taglio di alberi al turismo, dalla vendita del pescato dei porti di Cirò Marina e Cariati alla raccolta e riciclo di materie plastiche e rifiuti solidi urbani. Niente sfuggiva alle mire fameliche della cosca Farao-Marincola di Cirò Marina che andava a braccetto con la politica e si avvaleva di imprenditori compiacenti se non collusi. É lo spaccato emerso dall’operazione Stige che ha portato all’arresto di 169 persone tra Calabria, Lazio, Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Germania. Ed in carcere sono finiti anche tre sindaci, uno dei quali, quello di Cirò Marina, Nicodemo Parrilla, è anche presidente della Provincia di Crotone. Un ruolo, quello dei rappresentanti di istituzioni locali, che l’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e condotta dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Crotone, delinea in modo diverso dal passato: non più politici che vanno a chiedere il voto alle cosche in cambio di favori, ma veri e propri uomini delle ‘ndrine fatti eleggere per tutelare gli interessi economici dell’organizzazione. Emblematico, secondo gli investigatori, il caso dello stesso Parrilla e dell’ex sindaco di Cirò marina Roberto Siciliani. Il primo è stato eletto nel 2006 e nel 2016 ed il secondo nel 2011. Entrambi, secondo l’accusa, fortemente legati ad esponenti del “locale” di Cirò, i boss dei Farao-Marincola, quando i due si sono ritrovati su fronti politici opposti, li avrebbero “alternati” seguendo, comunque, un unico disegno: porre a capo dell’amministrazione comunale un soggetto che, a prescindere dall’appartenenza politica, fosse asservibile alle proprie volontà. “Ormai nelle istituzioni locali la ‘ndrangheta ha messo suoi uomini funzionali agli interessi dell’organizzazione criminale” è stato il commento del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, mentre il suo aggiunto, Vincenzo Luberto ha parlato di “rischio per la libertà di voto”. Sul fronte economico, l’infiltrazione dei Faro-Marincola era pressoché totale. Ciò fruttava ingenti risorse economiche poi reinvestite in attività imprenditoriali e commerciali al nord Italia ed in Germania. A capo dell’associazione, secondo l’accusa, c’era il boss ergastolano Giuseppe Farao, di 71 anni, che dal carcere impartiva le sue direttive agli affiliati privilegiando lo sviluppo imprenditoriale affidato a figli e nipoti, limitando al massimo le azioni violente ed evitando scontri interni ritenuti pregiudizievoli per gli “affari”.