Una “locale” di ‘ndrangheta potente, capace di “controllare il respiro di un intero territorio”. Così il procuratore distrettuale antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha definito la cosca Mannolo di San Leonardo di Cutro, colpita oggi da 35 provvedimenti di fermo disposti dalla Dda ed eseguiti dalla Guardia di Finanza di Crotone. Nella conferenza stampa convocata per illustrare l’esito dell’operazione, denominata “Malapianta”, Gratteri, insieme al procuratore aggiunto Vincenzo Luberto e ai vertici della Guardia di finanza regionale e territoriale, ha ricostruito l’evoluzione e le dinamiche di una consorteria ‘ndranghetista attiva da quasi 50 anni sulla costa jonica crotonese: “La ‘locale’ di San Leonardo di Cutro – ha spiegato il procuratore capodi Catanzaro – può sembrare piccola, insignificante, e invece già negli anni ’70 Cosa Nostra aveva impiantato in quel territorio una raffineria per la lavorazione e la produzione dell’eroina: questo a conferma della credibilità criminale di questa organizzazione, perché vuol dire che già a quel tempo c’era una struttura ben radicata, al punto da confrontarsi con la Cosa Nostra di quegli anni, che – ha affermato Gratteri – non è quella di oggi ma è quella che dominava gran parte del territorio nazionale e persino negli Stati Uniti”. Gratteri ha poi evidenziato: “Per decenni quell’organizzazione è stata quasi dimenticata sul piano giudiziario, ma oggi grazie a questa indagine abbiamo dimostrato che c’era una ‘locale’ di ‘ndrangheta che era intervenuta nella parte vitale di un territorio, quella economica. L’organizzazione – ha specificato il procuratore antimafia di Catanzaro – riusciva a controllare tutte le attività turistiche e alberghiere, che sono le principali attività in quell’area, riusciva a imporre una nuova forma di estorsione, cioè l’imposizione dell’acquisto di prodotti. Inoltre – ha proseguito Gratteri – la cosca rilevava le attività commerciali della zona tanto è vero che abbiamo sequestrato alberghi, bar, ristoranti, distributori di benzina”. A sua volta, Luberto ha sottolineato come la ‘locale’ di ‘ndrangheta di San Leonardo di Cutro nel tempo si sia elevata al tavolo della ‘Provincia’ di Crotone, “al punto da avere un rapporto paritetico con il boss Nicolino Grande Aracri. Da rimarcare anche – ha sostenuto il procuratore aggiunto – il controllo che l’organizzazione esercitava sull’usura, gestita direttamente dai capi della consorteria e perpetrata anche lontano dalla Calabria, e i collegamenti che la cosca Mannolo aveva con altre cosche per il traffico di droga. Con questa operazione – ha riferito Luberto – chiudiamo il cerchio sul territorio di Cutro, impattando tutte le “locali” esistenti, oggi fortemente ridimensionate”. All’incontro con i giornalisti hanno partecipato anche il comandante regionale della Guardia di Finanza, generale Fabio Contini, il vicecomandante dello Scico, colonnello Andrea Pecorari, e il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Crotone, colonnello Emilio Fiora.
Importanti le dichiarazioni rilasciate da diversi imprenditori
Ci sono anche le dichiarazioni di diversi imprenditori che si sono ribellati all’oppressione della criminalità organizzata alla base delle indagini della Dda di Catanzaro sfociate nell’operazione “Malapianta”, condotta, questa mattina, dalla Guardia di Finanza di Crotone, con 35 fermi, 64 persone indagate complessivamente e beni per 30 milioni sequestrati. L’inchiesta conferma l’esistenza di un “locale” di ‘ndrangheta a San Leonardo di Cutro, operante a partire almeno dagli anni Settanta, con a capo le famiglie Mannolo e Trapasso. Si tratta, secondo quanto emerge dagli atti, di un “locale” appartenente al “Crimine” crotonese/catanzarese e pertanto riconosciuto da parte del superiore “Crimine” di Polsi, la località aspromontana simbolo della ritualità della mafia calabrese. L’organizzazione colpita, spiegano gli inquirenti, nel corso dei decenni ha diversificato la sua operatività criminale passando dal contrabbando di sigarette al narcotraffico, all’usura e alle estorsioni. I villaggi turistici del litorale ionico fra Crotone e Catanzaro soggiacevano al controllo criminale posto in essere dalla cosca con due metodologie distinte: l’estorsione di denaro contante per milioni di euro e il condizionamento e lo sfruttamento della gestione dei servizi quali manodopera, forniture e manutenzioni. Le cosche, nel tempo, sarebbero riuscite a imporre la loro assoluta egemonia su ogni attività connessa alla gestione delle strutture alberghiere che abbia un profilo economico. Tra le principali attività della cosca si annovera il traffico di stupefacenti, una delle principali fonti di finanziamento dell’associazione. Sin dagli anni ’90 per le altre cosche del Crotonese, ma non solo i Mannolo, hanno costituito un punto di riferimento per il narcotraffico. In quegli anni venne addirittura impiantata una raffineria a San Leonardo, località giudicata idonea in quanto facilmente controllabile dalla cosca e quasi impossibile da controllare per le forze dell’ordine. Le indagini hanno dimostrato come i “san leonardesi” si sono approvvigionati di droga dalle cosche operanti in provincia di Vibo Valentia, Catanzaro e Reggio Calabria e, inoltre, si sono dotati di una ramificata rete territoriale per la commercializzazione del narcotico principalmente su Crotone, Isola di Capo Rizzuto, Botricello e zone limitrofe in provincia e Catanzaro, San Giovanni in Fiore in provincia di Cosenza.