CATANZARO. Si vantava di essere un “intoccabile”, grazie ai suoi agganci ai vertici della Lega Pro, Ercole Di Nicola, direttore sportivo della squadra di calcio dell’Aquila e, secondo la Dda di Catanzaro, quanto avvenuto il 25 ottobre del 2014, al termine della partita parsa malamente in casa dalla formazione abruzzese contro il Pisa, dimostrerebbe che non millantava. A risultato acquisito, Di Nicola rilasciò una livorosa intervista in cui parlò di arbitraggio “scandaloso”, definendo la terna arbitrale “gentaglia”. “Di regola – scrive il pm – dichiarazioni di questo tipo dove non ci si limita soltanto a criticare l’arbitraggio ma addirittura si definisce l’intera terna arbitrale feccia (gentaglia) avrebbero dovuto determinare, dagli organi competenti un provvedimento nei confronti del ds de L’Aquila”. A farlo rilevare fu lui stesso nel corso di un colloquio con la responsabile del settore giovanile della società “vantandosi – annota il pm – delle sue influenti conoscenze che gli avevano garantito di non subire alcun provvedimento”. Di Nicola chiede alla sua interlocutrice se si fosse chiesta come mai non era stato squalificato: “Lo sai – dice – che quando mi arrabbio mi faccio sentire” e poi aggiunge: “Ma tu lo sai che quando devo fare i poteri forti, li faccio arrivare no? Famosi massoni, amici tuoi”. Di Nicola, scrive il pm, raccontava all’amica “che lo aveva contattato il vice presidente della Lega Pro, Antonio Rizzo, il quale dapprima lo informava di aver parlato con Paolo Donati, vice segretario della Lega Pro che era stato quello che lo aveva aspramente richiamato per le lamentele sugli arbitri, e poi lo esortava, d’ora in avanti, a rivolgersi direttamente a lui se avesse avuto problemi in quanto avrebbe fatto quanto in suo potere e senza alcuna preoccupazione”. Di Nicola, secondo la Dda, “insieme ai suoi compari, aveva creato un vero e proprio “modus operandi” attraverso il quale sfruttava le proprie conoscenze nel mondo calcistico professionistico e le proprie informazioni privilegiate per orientare le scommesse del gruppo, per condizionare le prestazioni calcistiche dei calciatori delle squadre dirette dai suoi omologhi al cui indirizzo veicolava le proposte illecite mirate a manipolare il risultato dei singoli incontri di calcio promettendo lauti compensi in denaro trovando disponibili finanziatori”. Il ds de l’Aquila, sempre secondo la tesi investigativa, “disponeva di una fitta rete di conoscenze all’interno dell’elite del movimento calcistico della Lega Pro e anche della serie B nazionale da utilizzare all’occorrenza come accadeva nelle circostanze in cui cedeva, dietro compenso, le “semplici” informazioni acquisite su partite di calcio combinate”.