Non si può applicare solo una politica di respingimenti ma piuttosto occorre ampliare l’ingresso di immigrati regolari. La Conferenza episcopale italiana torna sulla tragedia di Cutro e sottolinea che “è una ferita aperta che mostra la debolezza delle risposte messe in atto. Il limitarsi a chiudere, controllare e respingere non solo non offre soluzioni di ampio respiro, ma contribuisce ad alimentare irregolarità e illegalità”. “Servono invece politiche lungimiranti, nazionali ed europee, capaci di governare i flussi d’ingresso tramite canali legali, cioè vie sicure che evitino i pericoli dei viaggi in mare, sottraggano quanti sono costretti a lasciare la propria terra a causa di fame e violenza alla vergogna dei centri di detenzione e diano prospettive reali per un futuro migliore”, dicono i vescovi al termine del Consiglio episcopale permanente. Il segretario generale, monsignor Giuseppe Baturi, dice che “il tema vero è quello innanzitutto di tutelare le vite delle persone, soccorrerle, e poi verificare una integrazione che è possibile e che è un vantaggio per tutti”. Poi offre la collaborazione della Chiesa italiana: “Con i corridoi umanitari o con altri strumenti è possibile un confronto, e noi siamo disponibili per la nostra esperienza pluridecennale, per allargare gli spazi dei canali legali che possono mettere in salvaguardia le vite e togliere ossigeno malato ad organizzazioni malavitose”. Intanto nel mare di Cutro è stata recuperata un’altra vittima: salgono così ad 89 i morti accertati del naufragio del barcone carico di migranti avvenuto il 26 febbraio. L’ultimo corpo ritrovato in mare è quello di una donna di circa 30 anni. Al momento, quindi, secondo i dati forniti dall’Ufficio immigrazione della Questura di Crotone, i dispersi del naufragio sarebbero 11, sei dei quali minori. Le persone disperate comunque continuano a partire. Anche ieri, in Calabria, sono sbarcati 325 migranti salvati in mare dalla Guardia costiera.