“Abbiamo una serie incredibile di ossa che sono messe insieme lì, ma non sappiamo di chi sono. È impossibile ricostruirlo”. La frase del procuratore della Repubblica di Palmi Emanuele Crescenti rende bene l’idea dello scempio compiuto nel corso degli anni nel cimitero di Cittanova. Un cimitero alla cui gestione si era di fatto insediata un’organizzazione che per lucrare sul caro estinto non avrebbe esitato a rimuovere le salme, distruggendole o spostandole in altri loculi per fare posto alle nuove sepolture. Almeno 460 le salme che sarebbero sparite. A portare alla luce la vicenda un’inchiesta della Procura di Palmi condotta dai carabinieri di Cittanova e del Gruppo di Gioia Tauro che ieri hanno arrestato 16 persone, quattro delle quali in carcere. Altre 58 sono indagate in stato di libertà. Associazione a delinquere, abuso d’ufficio, falso e vilipendio di cadavere i reati contestati nell’inchiesta “Aeternum” che ha messo in evidenza la “gestione parallela” del cimitero comunale, in parte oggi sequestrato, diventato, per dirlo con le parole del procuratore di Palmi, “non più un luogo di culto ma un luogo di imprenditoria da cui ricavare denaro”. A capo dell’organizzazione, secondo l’accusa, vi sarebbero stati l’allora custode del cimitero, ora in pensione, Salvatore Ligato, di 68 anni, e tre imprenditori di onoranze funebri, Francesco Galluccio (61), Serafino Berlingeri (56) e Antonino Albanese detto “Antonello” (60). Per portare a compimento il progetto criminoso, secondo l’accusa, si avvalevano della compiacenza di 4 medici legali dell’Asp di Reggio Calabria, di tre vigili urbani e, in un caso, persino di sacerdote.
A Cittanova un vero e proprio “racket delle sepolture”
Associazione a delinquere, vilipendio di cadaveri, falso materiale e ideologico, truffa, sono le ipotesi della Procura della Repubblica di Palmi, condivise dal gip Francesco Petrone, che hanno condotto agli arresti domiciliari, tra gli altri e a vario titolo, dell’attuale sindaco di Oppido Mamertina, Bruno Barillaro, 67 anni, medico in servizio all’Asp di Reggio Calabria, e del sacerdote in pensione don Giuseppe Borrelli, 80 anni, ex arciprete della parrocchia San Girolamo a Cittanova. Nell’elenco degli arrestati in carcere, invece, figurano l’ex custode del cimitero della cittadina della Piana di Gioia Tauro, Franco Ligato, e tre imprenditori di agenzie di pompe funebri: Francesco Galluccio, Serafino Berlingieri e Antonino Albanese. Nella lista dei ‘domiciliari’, ancora, oltre Borrelli e Barillaro, si contano tre agenti della polizia locale: Maria Cutrì, 47 anni; Francesco Felletti, 47 anni, e Vincenzo Ferraro, di 66 anni. Ed inoltre, il titolare di un’impresa funebre Francesco Curulla, 68 anni; l’attuale custode del cimitero di Cittanova, Girolamo Franconeri, 61 anni; il responsabile dell’Ufficio tecnico comunale, Salvatore Foti, 42 anni e quattro medici legali dell’Asp di Reggio Calabria: Osvaldo Casella, 66 anni; Domenico Mazzaferro, 62 anni; Arcangelo Padovano, 62 anni e Antonio Russo, di 62 anni, i quali, secondo l’accusa, “affermavano il falso e percepivano rimborsi spese dall’Asp di Reggio Calabria”, senza essere presenti alle operazioni di tumulazione ed estumulazione delle salme. L’operazione “Aeternum”, in totale, vede dunque 4 arrestati in carcere, 12 ai domiciliari, e 74 indagati. “L’operazione di oggi -ha detto il Procuratore della Repubblica di Palmi, Emanuele Crescenti- registra gravissimi reati. Conosciamo tutti bene la pericolosità della ‘ndrangheta, ma è anche necessario concentrarsi e lavorare sui reati delle pubbliche amministrazioni. E’ stato un lavoro certosino -ha proseguito il magistrato- ampio e di qualità, quello condotto dai carabinieri del gruppo di Gioia Tauro e della stazione di Cittanova, che hanno raccolto la denuncia di un cittadino cittanovese allorché tornando in paese e recatosi al cimitero, ha trovato un salma tumulata nello stesso loculo in cui era stato tumulato uno dei genitori. Non ci ha pensato due volte e si è recato alla stazione dell’Arma di Cittanova presentando la denuncia. La cittadinanza cittanovese -ha sottolineato Crescenti- viveva da tempo uno scoramento per le ingiustizie causate dalla gestione del cimitero, tant’è -com’è stato accertato dai carabinieri- sono stati evidenziati 470 casi di tumulazione ed estumulazione, senza i regolari permessi”. Nel corso della conferenza stampa, svoltasi al comando provinciale dell’Arma, è stato inoltre reso noto il danno erariale dovuto alla mancanza del versamento delle spese comunali per le operazioni di polizia mortuaria, pari a 2,4 milioni di euro, trattenute indebitamente dagli indagati, in particolare dai custodi cimiteriali, i quali, comunque, rilasciavano certificazioni apparentemente regolari alle famiglie dei defunti. Pesanti gli indizi a carico dell’ex sacerdote don Giuseppe Borelli, il quale “su impulso di Francesco Galluccio (ex custode del cimitero) e dell’impresa funebre ‘Santa Rita’, avrebbe -secondo l’accusa- contribuito a frodare il comune di Cittanova attraverso l’instaurazione di “un mercato parallelo dei loculi siti all’interno delle cappelle già intitolate alle ex Confraternite, facendole ristrutturare con correlativa estumulazione massiva di tutte le salme ivi sepolte, molte delle quali andate soppresse, e poi provvedendo, quando direttamente e quando attraverso l’intermediazione delle predette imprese funebri, alla “vendita” dei relativi loculi, la maggior parte dei quali liberati a seguito delle estumulazioni massive di cui sopra”.
Estumulazioni illegali e loculi venduti: “disperse” 460 salme
Sono oltre 460, secondo i carabinieri, le salme di cui si sono perse le tracce dopo che sono state tolte illegalmente dal cimitero di Cittanova da un’organizzazione che puntava a liberare gli spazi per nuove sepolture. È quanto emerso nell’inchiesta “Aeternum”, partita nel dicembre 2018 quando un cittadino di Cittanova si è accorto che all’interno del tumulo di un proprio caro era stata abusivamente inserita una seconda salma ed ha denunciato ai carabinieri. L’organizzazione si avvaleva della collaborazione di insospettabili medici legali dell’Asp di Reggio Calabria che erano chiamati a vigilare sulle estumulazioni o ad eseguire visite necroscopiche. In realtà 5 medici, finiti ai domiciliari, secondo l’accusa erano pronti a sottoscrivere i verbali delle operazioni per come veniva loro dettato dagli appartenenti all’associazione. A volte i verbali sarebbero stati compilati senza che il medico legale o altri funzionari previsti fossero presenti sul luogo. Ciò tuttavia non impediva ai camici bianchi di richiedere il rimborso chilometrico previsto dal servizio sanitario per le visite necroscopiche, in realtà mai effettuate. Secondo i carabinieri e la Procura di Palmi guidata da Emanuele Crescenti, sarebbe stato l’ex custode Salvatore Ligato detto “Franco” di 68 anni, a promuovere l’associazione che per anni ha eseguito estumulazioni non autorizzate. Illeciti, per l’accusa, sarebbero stati commessi anche nell’esumazione straordinaria eseguita nel 2020 dopo un appalto del Comune aggiudicato ad un’impresa il cui responsabile risulta tra gli indagati. Gli operai della ditta, per massimizzare il numero dei loculi liberati e rendere più economici e rapidi i lavori, avrebbero eseguito le dissepolture con un escavatore, senza alcuna attenzione alla rottura dei feretri ed alla necessità di estrarre a mano i resti. Il materiale di risulta, mischiato a resti umani, sarebbe stato poi risotterrato poco distante. Pur avendo assistito alla scena, tre agenti della polizia locale e il tecnico comunale – finiti ai domiciliari – non sarebbero intervenuti per bloccare i lavori o, almeno, per imporre una diversa prassi di esecuzione. Ai domiciliari è finito anche l’ex arciprete della parrocchia di San Girolamo, don Giuseppe Borrelli. Quest’ultimo avrebbe attestato falsamente di essere proprietario delle cappelle gentilizie, una volta appartenenti a tre confraternite religiose disciolte nel 2007. Su quelle cappelle, tornate in realtà al patrimonio del Comune, gli indagati hanno avviato lavori di ristrutturazione procedendo così alla soppressione di oltre un migliaio di salme, per poter ricavare un guadagno dalla “vendita” dei loculi, pagati anche 3mila euro dai privati cittadini che, così facendo, aggiravano il regolamento mortuario, accorciando i termini amministrativi e decidendo dove seppellire i propri cari estinti. Oltre ai 16 arrestati, nell’inchiesta ci sono altri 58 indagati. L’area del cimitero interessata dalle estumulazioni illegali è stata sequestrata. Il valore ammonterebbe a 4 milioni e mezzo di euro.
Il Procuratore di Palmi: “Il cimitero diventato luogo di affari”
“Il cimitero non era più un luogo di culto ma un luogo di imprenditoria, gestito con una mentalità privata e da cui ricavare denaro. La morte diventava un sistema affaristico”. Lo ha detto il procuratore di Palmi Emanuele Crescenti durante la conferenza stampa tenuta stamattina al Comando provinciale dei carabinieri di Reggio Calabria per illustrare i dettagli dell’inchiesta “Aeterium” che ha portato all’arresto di 16 persone accusate, a vario titolo, di associazione a delinquere, abuso d’ufficio, falso e vilipendio di cadavere. Per il procuratore “stiamo parlando di un giro d’affari di qualche milione di euro considerato che si tratta di piccole somme, nell’ordine di 200 euro, per ogni deceduto. Ma era un’attività regolare, continua e proficua e, facendo un calcolo approssimativo sulla base del numero dei decessi che ci sono stati nella zona, arriviamo a qualche milione di euro, somme decisamente importanti per un Comune piccolo”. Se per il neo-comandante provinciale dei carabinieri, il colonnello Cesario Totaro, nell’inchiesta “siamo stati celeri e tempestivi per il cittadino”, per il colonnello Gianluca Migliozzi, comandante del Gruppo di Gioia Tauro, “lo Stato nel territorio è presente”. “Durante l’attività di indagine – ha spiegato il capitano Gaetano Borgese, comandante della Compagnia carabinieri di Taurianova – è stato registrato uno scoramento da parte della cittadinanza che ormai viveva questo senso di ingiustizia come ineluttabile. Il cimitero era materialmente gestito da imprese di pompe funebri e dall’ex custode. Per tagliare i tempi morti, gli indagati si appoggiavano a professionisti medici che permettevano alle imprese di essere competitive”.