REGGIO CALABRIA. Hanno suonato al campanello dell’appartamento dove vive uno dei figli del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri dicendo di essere poliziotti, ma dopo un po’, quando il giovane si è affacciato sul pianerottolo non vedendo arrivare nessuno, ha notato due persone incappucciate scendere le scale dal piano di sopra al suo. L’episodio, secondo quanto si è appreso, è avvenuto nei giorni scorsi a Messina, dove il figlio di Gratteri abita in un palazzo vicino all’università che frequenta. Il giovane ha subito avvertito la polizia, che ha avviato le indagini per chiarire l’episodio, ed il padre che in quei giorni si trovava all’estero. Gratteri è uno dei magistrati più impegnati nella lotta alla ‘ndrangheta ed ai suoi traffici miliardari, soprattutto di stupefacenti. Proprio su questo fronte Gratteri ha coordinato decine di inchieste che hanno portato all’arresto di narcotrafficanti ed al sequestro di ingenti quantità di cocaina provenienti dal centro America. Negli ultimi mesi è stato impegnato anche nella presidenza della commissione incaricata dal premier Matteo Renzi di apportare modifiche al codice penale. Secondo quanto si è appreso, nonostante l’episodio ancora da chiarire, il figlio di Gratteri continuerà a frequentare l’università di Messina. “L’inquietante episodio denunciato dal figlio del dott. Nicola Gratteri segnala, ancora una volta, il rischio che corre un uomo impegnato a difesa della legalità e contro le organizzazioni criminali”. Lo afferma in una nota il capogruppo del Pd in Consiglio regionale Sebi Romeo. “Questo rischio – prosegue – è purtroppo esteso alle persone a lui più care. Lo Stato protegga con ogni mezzo il dott. Gratteri ed i suoi familiari, costretti a vivere nella paura perché l’azione incisiva e vera del procuratore è riuscita ad incidere sugli interessi del narcotraffico ed a svelare intrecci affaristici a più livelli. Sono certo che il dott. Gratteri non recederà, ma è altrettanto fondamentale che attorno al suo lavoro vi sia solidarietà, sostegno istituzionale e apprezzamento popolare”. E’ stato rafforzato il dispositivo di tutela del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri dopo l’episodio che ha visto due falsi agenti avvicinarsi all’appartamento in cui il figlio vive a Messina dove studia. Gratteri è da anni sotto scorta per le tante minacce ricevute nel corso della sua attività di magistrato impegnato nella lotta alla ‘ndrangheta, ai traffici internazionali di droga, ed ai rapporti con i cosiddetti colletti bianchi. Gli investigatori chiamati a chiarire l’episodio, ancora oscuro, starebbero cercando di verificare se alcune delle telecamere di videosorveglianza presenti nella zona possano avere ripreso immagini utili alle indagini. Nel frattempo, anche se nessuna ipotesi viene al momento esclusa, l’idea degli investigatori – secondo quanto si è appreso – è che si sia trattato di un modo subdolo della ‘ndrangheta per lanciare un messaggio a Gratteri, impegnato in delicate indagini sulle cosche ed i loro rapporti con i cosiddetti “colletti bianchi” oltre all’attività nel narcotraffico. Ad una prima lettura dell’episodio, infatti, pare strano che i due abbiano suonato solo casualmente al campanello del figlio di Gratteri. Inoltre si sono presentati come agenti di polizia che – altra circostanza che difficilmente viene ritenuta una casualità – è il Corpo che cura la scorta del magistrato. I due, una volta al piano del figlio di Gratteri sarebbero poi fuggiti, forse perché si sono resi conto che davanti la porta d’ingresso dell’appartamento c’è un cancello metallico che era chiuso. E’ confermato che i due non abbiano detto niente, ma questo, a giudizio degli investigatori, non renderebbe meno credibile l’ipotesi di un “avvertimento”, visto che – viene evidenziato in ambienti vicino alle indagini – la ‘ndrangheta opera spesso con “gesti”. Le indagini sull’episodio sono condotte dai carabinieri di Messina con il coordinamento della Procura siciliana.
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