Interessato allo studio della sharing economy o economia della condivisione (oppure “economia della disintermediazione”, “peer economy”, “gig economy”, “economia on-demand), da quando il nuovo modello economico ha cessato di essere un argomento esclusivo del famoso economista americano Jeremy Rifkin, mi capita sempre più spesso di riflettere sulla evoluzione dei rapporti tra gli uomini e gli oggetti, da una parte, e sui rapporti tra gli uomini e le donne dall’altra, e di chiedermi fino a che punto riusciremo ad accettare nuovi modelli di convivenza che già si profilano all’orizzonte, destinati peraltro a moltiplicarsi nei prossimi anni. In ogni caso mi convinco ogni giorno di più che la sharing economy sta cambiando il mondo. Si tratta di capire soprattutto in quali direzioni avverrà il cambiamento. Questo nuovo fenomeno, evoca l’etica del condividere a chi è di cultura cristiana, ma anche il liberismo più sfrenato; preannuncia la possibile fine della proprietà privata, ma anche la nascita di più spietate potenze monopolistiche; consente a ciascuno di diventare imprenditore di se stesso, ma può anche rendere tutti più poveri. L’economista Jeremy Rifkin è certo che siamo entrati nella Terza Rivoluzione industriale e che, quando l’avremo attraversata tutta, nulla sarà più come prima: non il concetto di proprietà, non il lavoro, non le nostre città. A parere dello studioso statunitense, il capitalismo, come lo conosciamo, è sostanzialmente destinato a sparire, travolto dall’economia collaborativa, nella quale -grazie alle nuove tecnologie e alle piattaforme social- ciascuno oggi può diventare produttore/fornitore di beni e servizi a costi irrisori ( “La società a costo marginale zero. L’Internet delle cose, l’ascesa del Commons Collaborativo e l’eclissi del capitalismo”, Milano, Mondadori, 2014). Aprendo il summit sulla pubblica amministrazione, tenuto nello scorso mese di maggio al palazzo dei Congressi di Roma, Jeremy Rifkin ha indicato la sharing economy come “unica soluzione per salvare la specie umana”. Ha detto testualmente che: ”La risposta ai cambiamenti climatici, all’ecosistema in difficoltà, alla distribuzione della ricchezza a dir poco squilibrata, a una crisi economica che non ha dato tregua per anni, è la sharing economy, l’economia a costo marginale zero. E’ un’economia basata sull’internet delle cose, l’unica soluzione che può, in breve tempo, salvare una specie, quella umana, che altrimenti potrebbe non vedere la fine del secolo”. Ha quindi affidato alle Pubbliche Amministrazioni il compito di incentivarla attraverso servizi di car sharing, smart grid (gestione intelligente della rete) e condivisione di database. In Italia l’economia collaborativa è stata raccontata dalla nota giornalista e scrittrice Gea Scancarello, che da Chiarelettere ha pubblicato il libro “Mi fido di te. Lavorare, viaggiare, mangiare, divertirsi: un nuovo modo di vivere con gli altri e salvarsi”. Deve esserci però fiducia reciproca. Fidarsi degli altri e meritarne la fiducia è fondamentale in queste interazioni. Per questo, scrive ancora l’autrice: “i vantaggi economici non sono nemmeno i più importanti: al di là del denaro, ci si arricchisce di energia e consapevolezza”. Ho detto in premessa che sono interessato allo studio della sharing economy e lo sono ogni giorno di più, perché sento che dietro la galassia della “condivisione” c’è il desiderio di un nuovo modello economico, capace di suscitare passioni e speranze, ma anche sogni e incubi. In Italia poi, questo nuovo fenomeno incontrerà di certo ulteriori difficoltà e resistenze. Nel nostro Paese, ad esempio, da alcuni anni si verificano, con crescente frequenza, fatti di “femminicidio” che dall’inizio dell’anno superano i cento casi, praticamente uno ogni tre giorni. E non si tratta di una invenzione mediatica. A mio parere, infierire sul corpo della donna richiama inevitabilmente l’idea della donna-oggetto. Sono del tutto convinto che l’emancipazione delle donne, non completamente raggiunta, ha già messo in crisi l’identità degli uomini, i quali non si sentono gratificati in un rapporto alla pari e preferiscono conservare atteggiamenti di possesso e di dominio che lasciano esplodere all’occorrenza. Del resto per lungo tempo in molte culture, solo alcuni uomini potevano essere proprietari di terre, di utensili, di armenti, di semi e di attrezzi. Solo dopo molti anni un maggiore numero di uomini e, più tardi, donne e bambini, hanno potuto godere di alcuni dei predetti diritti. I rapporti con le persone hanno subito la stessa evoluzione: gli uomini possedevano le donne e potevano liberarsene come se fossero degli oggetti. Poi, lentamente ed a fatica, le donne hanno acquisito determinati diritti per la propria persona e per i propri figli. La sharing economy, a mio parere, inciderà necessariamente anche sulla evoluzione del rapporto uomo donna, e non solo sotto l’aspetto sociale. Jacques Attali, celebre economista, già eminenza grigia di Mitterand e in seguito collaboratore di Sarkozy, da molto tempo sostiene che: “la società accetterà rapporti sessuali e affettivi multipli simultanei e trasparenti. Non già in sostituzione dell’istituto matrimoniale, bensì come un altro sistema di organizzazione della vita. Non per tutti, ma per alcuni. Non solo per gli uomini, ma anche per le donne. Non solo in alcune comunità evolute negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo, compresi alcuni Paesi cattolici come l’Italia (…). Questo già avviene, clandestinamente, nel caso di molti adulti, e in modo aperto per molti giovani (…). Questo potrebbe accadere, in un modo del tutto trasparente, nella società reale, da qui a 50 anni. Per le persone come per gli oggetti. E “l’amore collaborativo” completerebbe così l’“economia collaborativa”(…). Una simile prospettiva può apparire come un incubo; come la fine di ogni forma di civiltà. O come un nuovo livello di libertà individuale”. Pensando a tutto questo, sarebbe saggio sforzarsi di comprendere i possibili scenari che inevitabilmente comporterà il nuovo paradigma economico che ho cercato di introdurre, se non altro per tentare di influenzarne l’evoluzione. Comunque, tornare indietro non è più possibile.
Carlo Rippa