REGGIO CALABRIA. Brancaleone, il comune dello Ionio reggino al centro dell’operazione “Cumps-Banco Nuovo” della Dda di Reggio Calabria che ha portato all’esecuzione di 50 misure restrittive da parte di Polizia e Carabinieri, era in mano alla ‘ndrangheta. Il paese in cui Cesare Pavese trascorse sette mesi di confino durante il fascismo e che ispirò il suo romanzo “il carcere”, era ostaggio della famiglia Alati e dei loro metodi tipicamente mafiosi. A esercitare questo potere, forte della sua appartenenza al clan, era, in particolare, Pietro Alati, fratello di Annunziato e impiegato presso l’ufficio tecnico del Comune. Era lui, secondo gli inquirenti, a decidere, con metodi tipicamente mafiosi, l’affidamento dei lavori in somma urgenza. Nessuno si opponeva, come segno di riconoscenza per il sostegno politico che l’amministrazione comunale in carica, nel 2014, reduce dal secondo mandato consecutivo, aveva avuto dagli Alati. Non sono mancati i tentativi di resistenza degli amministratori, come l’adozione di meccanismi di rotazione tra gli imprenditori destinatari delle commesse comunali. I buoni propositi, però, si infrangevano contro il clima di terrore imposto dagli indagati, che, ricorrendo a metodi intimidatori, costringevano gli altri imprenditori del settore a rifiutare i lavori che gli amministratori intendevano affidare loro. Nessun rispetto per le istituzioni da parte della “famiglia”, tanto che il 10 luglio 2014 i fratelli Annunziato e Giuseppe Alati irruppero nel corso di una seduta della Giunta comunale per minacciare apertamente il sindaco e gli amministratori presenti.