L’abusivismo edilizio, vero e proprio malcostume italico, particolarmente diffuso al Sud, ha danneggiato e continua a danneggiare l’ambiente, l’economia, il paesaggio e la cultura della legalità e del rispetto delle regole. Nel nostro Paese la stessa percezione di illegalità dell’abusivismo edilizio è considerata talmente lieve che il reato commesso non comporta, per gran parte della popolazione interessata, le dovute energiche reazioni di riprovazione sociale. Ed è il Sud l’area dove il fenomeno dell’abusivismo risulta più diffuso e non conosce crisi, anzi è in costante aumento. E’ opportuno precisare, in via preliminare, che l’oggetto del presente articolo è il grande abusivismo edilizio di speculazione, che necessita di enormi investimenti di capitale e produce altrettanti enormi profitti. Nell’ultimo rapporto sul benessere equo e sostenibile del 2015 l’Istat ha stimato che in alcune regioni del Sud, fino a 60 edifici su 100 non hanno l’autorizzazione e nel 2015 il numero delle nuove costruzioni abusive è salito, rispetto all’anno precedente, da 17,6 al 19,7 ogni 100 autorizzate. In altre parole quasi un fabbricato su cinque risulta costruito senza il rispetto delle norme urbanistiche e edilizie. Tutto ciò evidenzia la totale mancanza di controllo da parte degli Enti a ciò deputati e il crescente degrado del paesaggio e del rischio ambientale. E’ opportuno peraltro osservare che spesse volte, quand’anche risultino rilasciate le “autorizzazioni” preliminari all’avvio delle costruzioni da realizzare, non è di certo scontato che le stesse “autorizzazioni”, con riferimento ai singoli casi interessati, siano perfettamente rispettose di tutte le norme urbanistiche e edilizie vigenti. La mia personale esperienza registra che un esame oggettivo e completo, condotto sulle autorizzazioni ad edificare rilasciate dagli appositi Uffici comunali, porta spesso a rilevare macroscopici e insanabili errori sotto l’aspetto urbanistico-edilizio, che dovrebbero comportare, se formalmente richiesto da chiunque si senta offeso dal misfatto, una sollecita declaratoria di illegittimità, con conseguente nullità delle autorizzazioni rilasciate. Tuttavia la realtà è alquanto diversa. La società nella quale viviamo è definita “società liquida” perché, con la crisi del concetto di comunità, è emerso un individualismo sfrenato che ha minato le basi della modernità. Si è anche persa la certezza del diritto e il “non senso” ha preso il sopravvento sulla “razionalità”. Così, all’individuo senza alcun punto di riferimento, è rimasto l’individualismo sfrenato, che ha portato con sé inevitabilmente la bulimia della ricchezza e del potere. Il nefasto fenomeno dell’abusivismo edilizio in Italia, ma in misura forse meno devastante anche negli altri Paesi, è figlio del progressivo deterioramento della società nel suo complesso. Del resto diversi altri gravi fenomeni contribuiscono a rendere sempre più penosa la fatica di vivere. E’ sufficiente indicarne alcuni, come il terrorismo, le migrazioni, il femminicidio, l’evasione fiscale, la corruzione nella pubblica amministrazione, la disoccupazione soprattutto giovanile, l’iniqua distribuzione della ricchezza fra i pochi “ricchi” e lo sterminato numero di “poveri”. A mio parere, la smisurata portata dell’abusivismo edilizio, con il suo boom al Sud, per essere pienamente intesa, deve essere collegata alla collaborazione e al sostegno dei così detti “poteri forti”, rappresentati dalle mafie, dalla massoneria, dalla finanza, dai politici di professione che perseguono unicamente il bene proprio, da diversi altri soggetti, laici o religiosi, proprietari di immensa ricchezza e titolari di consolidato potere. Non è per caso che al Sud detto fenomeno sia concentrato in Campania, Sicilia, Puglia e Calabria, dove esiste il 60% del totale nazionale delle costruzioni illegali. Ciò dimostra, nel caso specifico, che il fenomeno dell’abusivismo è legato alle organizzazioni criminali e mafiose, fortemente radicate nelle predette quattro regioni. In molti si chiedono perché la Magistratura e i Giornalisti non riescono a contrastare efficacemente il fenomeno dell’abusivismo edilizio. La risposta è abbastanza semplice. La Magistratura non dispone di uomini e di strutture sufficienti per affrontare adeguatamente l’enorme piaga in argomento. Ancora, i Magistrati devono applicare le leggi che emanano dal Parlamento e, quindi, dai politici. Le leggi sono volutamente troppe e, a volte, anche confuse; la loro interpretazione comporta l’impiego di molto tempo che favorisce il colpevole per il quale, trascorso un determinato periodo di tempo dall’avvio del relativo procedimento giudiziario, può essere invocata la prescrizione del reato. I Giornalisti potrebbero rivestire un ruolo importantissimo, denunciando prontamente e con dovizia di documentazione, il reato edilizio individuato. Spesso però il Giornalista non è dotato di “schiena diritta” e della totale indipendenza dal proprio Editore e da qualunque altro padrone. Mi rendo conto che in Italia non è facile vivere da Giornalista, ma mi sovviene anche che esistono molte altre professioni che non richiedono, per il loro esercizio, alcuna forma di coraggio. Ricordo inoltre che esistono anche Editori rispettabili sotto ogni aspetto i quali, anche per la grande cultura che li caratterizza, nutrono grande rispetto per le opinioni di tutti. E’ sufficiente, quindi, sapere discernere con la dovuta prudenza e coerenza. Mi fermo qui, non prima però di avere riferito un mio profondo convincimento che mi è venuto in mente riflettendo sull’argomento dell’abusivismo edilizio sopra sintetizzato. Credo fermamente che l’uomo rappresenti l’unica specie vivente che ha coscienza di sé. A differenza degli animali, l’uomo ha memoria del passato, consapevolezza del presente e immagina il futuro. Ma la sua più speciale facoltà è che mentre opera, cioè compie delle azioni, è in grado di osservare se stesso e di modificare il comportamento, orientandolo verso il “bene” oppure verso il “male”, che peraltro ben conosce. Ma perché l’uomo compie il male? E’ questo il più grande mistero che lo caratterizza. L’apostolo Paolo, nella sua lettera ai romani (Rm.7, 15-25) scrive testualmente: ” Infatti non quello che voglio, il bene, io faccio, ma il male che detesto, questo faccio”
Carlo Rippa