VIBO VALENTIA. Come è stata azionata la bomba che ha ucciso Matteo Vinci e ferito gravemente il padre Francesco? É uno dei quesiti cui è chiamata a dare una risposta l’indagine che i carabinieri del Comando provinciale di Vibo Valentia stanno conducendo sull’attentato avvenuto nelle campagne di Limbadi. Un dato acquisito alle indagini è che l’ordigno utilizzato per l’attentato sia stato collocato sotto la Ford Fiesta sulla quale viaggiavano Matteo Vinci ed il padre. Ma come è stato fatto scoppiare? L’ipotesi che su questo specifico punto dell’indagine viene presa maggiormente in considerazione dagli investigatori è quella di un radiocomando a distanza. Ma non si è esclude neppure quella di un timer. In ogni caso, si fa rilevare negli ambienti investigativi, si è trattato di un lavoro compiuto da professionisti e che denota l’elevato livello criminale di chi aveva ha progettato l’uccisione di Matteo Vinci e del padre. Persone non considerate legate alla ‘ndrangheta, ma che, evidentemente, erano finite nel mirino di esponenti di primo piano della criminalità organizzata del vibonese. Francesco Vinci, il 73enne ferito gravemente nello scoppio dell’autobomba in località “Cervolaro”, fu vittima lo scorso ottobre di un’aggressione messa in atto da persone nei confronti delle quali sono in corso le indagini dei carabinieri. L’episodio si verificò a breve distanza dal luogo in cui è avvenuto l’attentato di ieri, in prossimità del terreno della famiglia Vinci attiguo a quello dei Di Grillo-Mancuso. Proprio sulla delimitazione del confine tra i terreni è in atto da tempo una disputa tra la famiglia Vinci e quella dei Grillo-Mancuso che sarebbe stata la causa scatenante della rissa avvenuta nel 2014 che vive contrapposti, da una parte, Francesco e Matteo Vinci e, dall’altra, Rosaria Mancuso, sorella dei capi della cosca, ed il marito Domenico Di Grillo, arrestato nella tarda serata di ieri dai carabinieri per la detenzione abusiva di un fucile. E proprio i contrasti di vicinato rappresentano una delle ipotesi che i carabinieri, coordinati dai maggiori Dario Solito e Valerio Palmieri, stanno valutando per risalire al movente dell’attentato. Intanto un arresto per detenzione d’arma è stato eseguito dai Carabinieri di Vibo Valentia dopo l’attentato con un’autobomba costato la vita, a Limbadi, a Matteo Vinci, 42 anni, mentre il padre Francesco, 73 anni, è ricoverato all’ospedale di Palermo in gravi condizioni. Durante le perquisizioni domiciliari scattate proprio a seguito dell’attentato, i militari dell’Arma hanno arrestato Domenico Di Grillo, 71 anni, di Limbadi, trovato in possesso di un fucile di provenienza illecita. L’arresto non ha una connessione diretta con l’attentato. Si tratta, comunque, di un vicino di casa delle vittime dell’autobomba, che già nel 2014 era stato arrestato per una violenta rissa con i Vinci, finita a bastonate per via di alcuni terreni confinanti contesi dai due gruppi familiari. Domenico Di Grillo è anche cognato dei boss della ‘ndrangheta Giuseppe e Pantaleone (detenuti), Diego e Francesco. E proprio le modalità mafiose dell’attentato hanno portato la Dda di Catanzaro, con il pm Andrea Mancuso, ad interessarsi del caso unitamente alla Procura di Vibo Valentia. L’attentato sarà oggi al centro del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica convocato in via d’urgenza dal prefetto di Vibo Valentia, Guido Longo. “È un episodio che deve essere ancora approfondito, vanno capiti i moventi ma sicuramente è grave e preoccupante se dietro c’è una strategia. Siamo al lavoro per capire ed analizzare, per restituire anche a questo pezzo d’Italia la tranquillità e la serenità che merita. Il capo della Polizia Franco Gabrielli commenta così l’autobomba di Limbadi. “Lo ha detto in modo molto chiaro il ministro dell’Interno – aggiunge -: se qualcuno si fosse distratto un momento, avesse pensato che i temi del terrorismo internazionale avessero fatto scomparire dal nostro territorio le questioni della criminalità organizzata, quanto accaduto ci riporta alla dura realtà”