LIMBADI. Operazione antimafia dei carabinieri del Nucleo investigativo di Vibo Valentia e del Ros che hanno eseguito sei provvedimenti di fermo a carico di altrettanti esponenti della famiglia Mancuso di Limbadi. I fermi sono scaturiti dalle indagini condotte dai carabinieri e coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro sull’omicidio del 9 aprile scorso, proprio a Limbadi, di Matteo Vinci ed il il ferimento grave del padre Francesco, tuttora ricoverato nel Centro grandi ustionati di Palermo, a causa dell’esplosione di una bomba collocata sotto la loro auto. Ci sono anche i presunti mandanti ed esecutori dell’omicidio tra i sei fermati. I fermati, secondo quanto si é appreso, sarebbero esponenti della cosca Mancuso della ‘ndrangheta con i quali la famiglia Vinci avrebbe avuto contrasti in relazione alla mancata vendita di un terreno.
Un’azione messa in atto per fare cedere la famiglia Vinci-Scarpulla alle loro richieste estorsive: é questo, secondo la Dda di Catanzaro, il movente dell’attentato, messo in atto con una bomba collocata sotto la loro automobile ed azionata con un radiocomando a distanza, in cui il 9 aprile scorso a Limbadi fu ucciso Matteo Vinci, di 42 anni, e gravemente ferito il padre Francesco, di 70. Le motivazioni dell’attentato vengono indicate nel provvedimento col quale la Dda di Catanzaro ha disposto il fermo di sei persone, appartenenti alla famiglia Mancuso-Di Grillo, eseguito dai carabinieri di Vibo Valentia e del Ros, nell’ambito delle indagini sull’omicidio di Matteo Vinci ed il ferimento del padre.
Destinatari del provvedimento di fermo sono Domenico Di Grillo, di 71 anni, e la moglie, Rosaria Mancuso, di 63; le figlie Rosina e Lucia Di Grillo, di 37 e 29 anni; Vito Barbara, di 28, marito di Lucia Di Grillo, e Salvatore Mancuso, di 46, fratello di Rosaria Mancuso. Oggetto delle richieste estorsive rivolte dai Mancuso-Di Grillo alla famiglia Vinci sarebbe stata la cessione di un terreno limitrofo ad alcuni fondi di loro proprietà. La resistenza da parte della famiglia Vinci nel non volere cedere il terreno, prolungatasi per anni ed accompagnata da varie minacce ed intimidazioni, sarebbe stata la causa scatenante della reazione da parte della famiglia Mancuso-Di Grillo, con la messa in atto dell’attentato compiuto la sera del 9 aprile.