REGGIO CALABRIA. Pestati a sangue nel rione Pellaro di Reggio Calabria dinanzi a decine di persone, senza che nessuno intervenisse. Un’aggressione dalla quale i carabinieri del Comando provinciale hanno ricostruito la vicenda del furto di tritolo compiuto ai danni della cosca Franco, che l’aveva prelevato dalle stive della nave ‘Laura C.’ affondata nell’estate del 1942 da un sommergibile quindici miglia a sud del porto di Reggio Calabria, che ha portato all’operazione Tnt 2 con l’arresto di 8 persone. I particolari sono stati forniti nel corso di una conferenza stampa. Domenico Demetrio Battaglia e Damiano Roberto Berlingieri furono aggrediti da Giuseppe Franco, fratello di Michele, boss dell’omonima cosca, e dall’imprenditore edile Filippo Gironda, appartenente ad una famiglia di costruttori molto noti. “Dopo il pestaggio – ha detto il comandante provinciale dei carabinieri col. Lorenzo Falferi alla presenza del procuratore Federico Cafiero de Raho – gli aggrediti furono trascinati dentro uno dei cantieri di Gironda e sequestrati per lunghe ore”. “La ragione di tale aggressione – ha spiegato De Raho – era legata al ritrovamento in un luogo nella disponibilità di Battaglia di due chili di tritolo: lo stesso, come è stato accertato, di quello affondato con la Laura C… Un esplosivo ancora integro distribuito dalla ‘ndrangheta a cosche amiche per commettere attentati a beni e persone. Nonostante l’impegno delle forze di polizia, molte formelle di tritolo sono ancora dentro il relitto e lo Stato sta approntando una serie di misure per rendere inaccessibile per sempre le stive della nave”. Secondo gli inquirenti, l’esplosivo detenuto da Battaglia e Bellingeri era servito per porre in essere attentati nella zona sud di Reggio a fini estorsivi. “Stiamo ancora indagando – ha aggiunto Cafiero De Raho – per sapere se il tritolo sia stato sottratto da Battaglia e Berlingieri alla cosca Franco, oppure acquistato e non pagato per il prezzo pattuito”. Nell’operazione Tnt 2 sono stati arrestati Giuseppe Franco; Giuseppe Franco (63), detto “Zio Pino”; Filippo Gironda (39); Stefano Porchi (35); Massimo Murina (35), detenuto e già arrestato nell’operazione Tnt dell’aprile scorso e condannato in primo grado a 8 anni e 4 mesi di reclusione; Giuseppe Zampagnione (39), detto “Peppe”, detenuto, arrestato in Tnt e condannato a 10 anni e 4 mesi; Domenico Demetrio Battaglia (51), detenuto, arrestato in Tnt e condannato a 9 anni e 4 mesi. Ai domiciliari è finito Giovanni Ambroggio (42), detto “Marbizza”. L’operazione condotta dai carabinieri conferma, secondo gli investigatori, il ruolo delle donne in seno all’organizzazione. Tra gli arrestati figura infatti Giuseppa Franco, figlia del capocosca Michele nonché moglie di Consolato Carmelo Murina – adesso ritenuto il reggente della ‘ndrina – che nel periodo oggetto delle indagini, il 2012-2013, secondo l’accusa, reggeva e gestiva direttamente le attività illecite della famiglia visto che padre e marito erano detenuti. Era a lei, infatti, che Massimo Piccolo e Massimo Murina, quest’ultimo cugino di primo grado di Consolato Carmelo Murina – arrestati oggi – consegnavano i proventi dell’attività di spaccio che loro stessi, nel corso delle intercettazioni, definivano “i soldi della ‘ndrangheta”. Le microspie dei carabinieri hanno intercettato un colloquio tra i due uomini dai quali emerge un versamento di 12 mila euro. La donna aveva anche offerto a Massimo Murina la gestione dello spaccio dell’eroina e dello sfruttamento della prostituzione, “business”, però, rifiutati dall’uomo che riteneva l’eroina troppo pericolosa e lo sfruttamento della prostituzione un affare “infamante”. “Questo è pericoloso – dice intercettato – gli ho detto io non mi parlate affatto no di puttane, gli ho detto io solo di erba mi dovete parlare”. Dalle intercettazioni emerge anche l’insofferenza di Murina per dover prendere ordini da Pina Franco alla quale, comunque, in quel periodo, riconosceva un ruolo apicale. Ed era sempre a Pina Franco che si relazionava colui che gli investigatori indicano come il volto imprenditoriale della cosca, Filippo Gironda, un imprenditore edile, hanno sostenuto gli investigatori, “pienamente inserito nelle dinamiche criminali dell’organizzazione mafiosa” che “si adopera al fine di rafforzarne il prestigio fornendo alla stessa supporto economico e logistico”. Le intercettazioni, per i carabinieri, hanno rivelato un rapporto di subordinazione di Gironda nei confronti di Pina Franco. Gironda era già stato indagato nell’operazione “Saggezza” nel corso della quale sarebbe emersa la sua partecipazione ad un summit di mafia per decidere la spartizione di affari. A Gironda, i carabinieri, su disposizione della Dda reggina, stamani hanno sequestrato beni per 10 milioni di euro: un’impresa edile, quote di un’altra società, una villa di 12 vani, tre appartamenti quattro terreni ed una dozzina tra auto, moto e mezzi d’opera.