CATANZARO. È già costata 90 milioni di euro; per completarla ne occorrono altri 283. La diga sul fiume Melito, necessaria per creare un grande invaso nel territorio del Comune di Gimigliano, a pochi minuti d’auto da Catanzaro, resta un’incompiuta. Le opere già realizzate hanno comportato la modifica di 400 ettari di territorio fra i comuni di Gimigliano, Sorbo San Basile e Fossato Serralta, centri della Presila catanzarese. L’infrastruttura fu pensata e finanziata agli inizi degli anni 80. Fu la Cassa del Mezzogiorno, con l’approvazione del progetto, a dare il via, nel 1982, ad un iter che si è complicato lungo il cammino a causa di contenziosi fra l’ente appaltante, il consorzio di bonifica Alli-Punta di Copanello, le ditte affidatarie dei lavori, e i ministeri dei Lavori Pubblici e dell’Ambiente. Su tutto sospetti di irregolarità nella gestione dei lavori e di infiltrazioni mafiose. Oltre 500 miliardi di vecchie lire (pari a circa 260 milioni di euro) il costo previsto dei lavori, la cui conclusione era fissata per il 7 febbraio 1992. Ma la diga più grande d’Europa, una delle più alte al mondo fra quelle con manto di tenuta con conglomerato bituminoso e 19.000 ettari di superficie dominata, rimane un miraggio. Un colosso destinato a irrigare 16.000 ettari di superficie. Circa 40 milioni di metri cubi d’acqua destinati alla fertile piana di S. Eufemia, ai rubinetti di fabbricati civili a Catanzaro, la città capoluogo della Calabria, e Lamezia Terme, la terza realtà urbana della regione per numero di abitanti. Senza considerare l’impiego per finalità industriali nell’area lametina, una delle più estese del Mezzogiorno, l’occupazione di centinaia di persone per la costruzione del corpo della diga e per la sua gestione e i quasi mille occupati previsti per le opere complementari. “L’opera modificherà totalmente il volto della Calabria centrale – dice Grazioso Manno, presidente del consorzio appaltante – È ubicata a pochi minuti dal capoluogo, a metà strada fra mare e montagna e quindi è facilmente raggiungibile”. A inceppare il meccanismo avviato con l’assegnazione dell’appalto alla Italstrade è stata la richiesta, pervenuta nel 1993, da parte dei ministeri dell’Ambiente e dei Lavori Pubblici, della valutazione di impatto ambientale. Una richiesta che il consorzio Alli-Punta Copanello ritenne ingiustificata “perché – spiega Manno – il progetto era stato approvato prima dell’entrata in vigore della legge che ha introdotto la Via”. Ne scaturì una serie di ricorsi, impugnative, sentenze, prescrizioni di modifica del progetto che bloccarono il lavoro. Neanche il prefetto Nicola Bosa, nominato commissario straordinario dell’opera nel 1997, riuscì a venirne a capo, fino a quando l’impresa aggiudicataria chiese la risoluzione del contratto ed un risarcimento danni di oltre 53 milioni di euro. Dopo un tentativo di transazione, il consorzio dispose la risoluzione dell’appalto. Il successivo lodo arbitrale riconobbe all’Italstrade-Astaldi 35 milioni di euro di risarcimento. Il relativo giudizio è ancora pendente davanti alla Cassazione. Riaffidata l’esecuzione dei lavori a un’altra impresa, la Safab, fu la prefettura di Roma a intervenire notificando al consorzio una informativa antimafia in cui si segnalavano tentativi di infiltrazioni mafiose nella ditta. Revocato l’appalto anche alla seconda ditta, con la quale è in corso un altro contenzioso, i lavori si fermarono definitivamente. Manno, che si è anche rivolto alla Procura catanzarese per denunciare irregolarità, ora ha inviato una lettera al presidente della Regione, Mario Oliverio, minacciando di occupare la sede del governo regionale per indurlo a inserire l’opera tra quelle da finanziare. Del resto, è stato lo stesso governatore a confermare la validità dell’opera. “Siamo stati succubi di una burocrazia asfissiante – dice – impressionante e da riformare. La nostra è una battaglia per affermare la legalità”. Rivolto alle potenzialità occupazionali della diga, naturalmente, è l’interesse dei sindacati. “La diga sul Melito – dichiara Carlo Barletta, segretario generale della Cisl catanzarese – non deve essere una delle tante incompiute di questa regione. È un’opera strategica e non va gettata alle ortiche. L’invaso avrebbe un impatto turistico, diventando un’attrattiva grazie anche lla prevista costruzione di strutture ricettive intorno all’invaso, ed industriale, senza considerare la manodopera impegnata nel cantiere”. Nessun dubbio da parte dei sindaci. In 52 hanno firmato un documento-appello al presidente del Consiglio. “Ritengo – spiega il sindaco di Fossato Serralta, Domenico Raffaele – che sia assolutamente fondamentale e necessario arrivare all’ultimazione dell’opera”.